giovedì 29 marzo 2012

Lezione del 29/03/2012 - Ritiro tav. n. 6C: ritratto a sanguigna; chiarimenti tecnica; Inizio tav. n. 7C: il ritratto con segno grafico monocromatico con pennarello.

(3 ore)
 - Ritiro tav. n. 6C: ritratto a sanguigna; chiarimenti tecnica;
- il segno grafico: pagg. 42,43 8studiare) - 40,41,44,45 (leggere).
- Inizio tav. n. 7C: il ritratto con segno grafico monocromatico con pennarello.
















martedì 27 marzo 2012

Lezione del 27/03/2012 - Proseguimento tav. n. 3: copia dal vero di solidi geometrici trasparenti.

(2 ore: 1 di Discipline grafiche e pittoriche; 1 di Laboratorio Artistico)

- Proseguimento tav. n. 3: copia dal vero di solidi geometrici trasparenti.













Lezione del 22/03/2012 - Visita d'istruzione a Milano.

(Dalle 8.00 alle 19.00)



LICEO ARTISTICO STATALE “GIACOMO E PIO MANZU’”- BERGAMO

VISITA D’ISTRUZIONE

META: MILANO
1 GIORNO  - DATA: 22 MARZO 2012-03-07
PERCORSO: CASTELLO SFORZESCO – DUOMO – MUSEO DEL NOVECENTO

CLASSI: 1^E; 2^E
ACCOMPAGNATORI:
per la classe 1^E: prof.ssa Vessecchia; prof. Pierino Rossoni;
per la classe 2^E: prof.ssa Giovanna Marconi; prof.ssa Anna Falabretti;


Programma
ore 08.10 - partenza con pullman privato da Bergamo-Ghisleri
ore 09.00 – arrivo Milano Castello
ore 09.30/11.00 - visita guidata al Castello Sforzesco
ore 11:45/13.45 -  visita guidata al Duomo + terrazze (1° e 2° gruppo)
ore 13:45/15.00 - pausa pranzo (pranzo al sacco)
ore 15:00/16.30 - visita guidata al Museo del Novecento (1° gruppo)
ore 15.30/17.00 - visita guidata al Museo del Novecento (2° gruppo)
ore 18.00 - partenza per Bergamo
ore 19.00 - arrivo a Bergamo/Ghisleri.




Castello Sforzesco - Milano



















Il Castello Sforzesco è uno dei principali simboli di Milano e della sua storia. Fu costruito nel XV secolo da Francesco Sforza, divenuto da poco Duca di Milano, sui resti di una precedente fortificazione risalente al XIV secolo nota come Castrum Portae Jovis (Castello di porta Giovia o Zobia), e nei secoli ha subito notevoli trasformazioni.
Fra il Cinquecento e il Seicento era una delle principali cittadelle militari d'Europa; ora è sede di importanti istituzioni culturali e meta turistica.

 

I Visconti e gli Sforza

Giovanni Visconti alla sua morte lasciò in eredità il ducato ai tre nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò.













La torre di Bona di Savoia vista dalle mura esterne
Alla morte di Matteo i due fratelli si spartirono la città e tra il 1360 e il 1370 Galeazzo Visconti fece costruire, a cavallo delle mura della città, in corrispondenza della porta detta Giovia (o Zobia) una fortificazione detta, appunto, Castello di Porta Giovia.
L'edificio venne ampliato dai suoi successori: Gian GaleazzoGiovanni Maria e Filippo Maria. Il risultato è un castello a pianta quadrata, con i lati lunghi 200 m, e quattro torri agli angoli, di cui le due rivolte verso la città particolarmente imponenti, con muri perimetrali spessi 7 m.
La costruzione divenne così dimora permanente della dinastia viscontea.
Nel 1447 venne distrutto dalla neo Aurea Repubblica Ambrosiana. Fu Francesco I Sforza a ricostruirlo nel 1450 per farne la sua residenza dopo aver abbattuto la Repubblica.
Nel 1452 Filarete (c. 1400 - c. 1469) venne ingaggiato dal principe per la costruzione e la decorazione della torre mediana, che difatti tuttora viene chiamata Torre del Filarete.
Alla morte di Francesco Sforza, gli successe il figlio Galeazzo Maria che fece continuare i lavori dall'architetto Benedetto Ferrini. La parte decorativa fu invece affidata ai pittori del ducato. Nel 1476, sotto la reggenza di Bona di Savoia, fu costruita la torre omonima.
Nel 1494 salì al potere Ludovico il Moro e il castello divenne una fastosa opera, alla realizzazione della quale furono chiamati a lavorare artisti come Leonardo da Vinci (che affrescò diverse sale dell'appartamento ducale, insieme a Bernardino Zenale e Bernardino Butinone) e il Bramante (forse per una ponticella per collegare il castello alla cosiddetta strada coperta), mentre molti pittori affrescarono la sala della balla illustrando le gesta di Francesco Sforza. Verso il 1498 nella Sala delle Asse lavorò Leonardo da Vinci, con la pittura di Intrecci vegetali con frutti e monocromi di radici e rocce.
Negli anni a seguire il castello fu però danneggiato dai continui attacchi che francesi, milanesi e truppe germaniche si scambiarono; fu aggiunto un baluardo allungato chiamato "tenaglia" che dà il nome alla porta vicina e progettato forse da Cesare Cesariano, ma nel 1521 la Torre del Filarete esplose,perché un soldato francese fece per sbaglio esplodere una bomba dopo che la torre fu adibita ad armeria.
Ritornato al potere e al castello, Francesco II Sforza ristrutturò e ampliò la fortezza, adibendone una parte a sontuosa dimora della moglie Cristina di Danimarca.

Sotto gli spagnoli e gli Asburgo 
 Il castello nel XVI secolo 
                                                                   

              




                                                                                                  








                                                               Scorcio della facciata anteriore del castello

Passato sotto il dominio spagnolo, il castello nel 1535 (governatore Antonio de Leyva) perse il ruolo di dimora signorile, che passò al Palazzo Ducale, e divenne il fulcro della nuova cittadella, sede delle truppe militari iberiche: la guarnigione era una delle più grandi d'Europa, variabile da 1000 a 3000 uomini, con a capo un castellano spagnolo. Nel 1550 cominciarono i lavori per il potenziamento delle fortificazioni, con l'aiuto di Vincenzo Seregni: fu costruito un nuovo sistema difensiva di pianta prima pentagonale e poi esagonale (tipica della fortificazione alla moderna): una stella a sei punte portate poi a 12 con l'aggiunta di apposite mezzelune. Le difese esterne raggiunsero così la lunghezza complessiva di 3 km, e coprivano un'area di circa 25,9 ettari. Le antiche sale affrescate furono adibite a falegnameria e a dispense, mentre nei cortili furono costruiti pollai in muratura. All'inizio del Seicento l'opera fu completata coi fossati, che separarono completamente il castello dalla città, e la "strada coperta".
Quando la Lombardia passò dalla Spagna agli Asburgo d'Austria, per mano del grande generale Eugenio di Savoia, il castello conservò la propria destinazione militare. L'unica nota artistica del dominio austriaco è la statua di San Giovanni Nepomuceno, protettore dell'esercito austriaco, posta nel cortile della Piazza d'armi.

Le modifiche napoleoniche 
Con l'arrivo in Italia di Napoleone, l'Arciduca Ferdinando d'Austria abbandonò il 9 maggio 1796 la città, lasciando al Castello una guarnigione di 2.000 soldati, sotto il comando del tenente colonnello Lamy, con 152 cannoni e buone scorte di polvere, fucili e foraggiamenti. Respinto un primo, velleitario, attacco di un gruppo di Milanesi filogiacobini, subì l'assedio francese, protratto dal 15 maggio alla fine di giugno. In un primo tempo Napoleone ordinò di ripristinarne le difese, per alloggiarvi una guarnigione di 4000 uomini. Nell'aprile 1799 questa dovette subire l'assedio delle rientranti truppe austro-russe ma, già un anno dopo, all'indomani di Marengo, il dominio francese venne ristabilito.




















 Finestrone affacciato sul cortile interno.

Già nel 1796 era stata presentata una prima petizione popolare, che richiedeva l'abbattimento del castello, interpretato quale simbolo della 'antica tirannide'. Con decreto del 23 giugno 1800 Napoleone ne ordinò, in effetti, la totale demolizione. Essa venne realizzata a partire dal1801, solo in parte per le torri laterali e in toto per i bastioni spagnoli, esterni al palazzo sforzesco, di fronte alla popolazione esultante.
Nel 1801 venne presentato dall'architetto Antolini un progetto per il rimaneggiamento del castello in forme vistosamente neo-classiche, con un atrio a dodici colonne e circondato dal primo progetto di Foro Buonaparte: una piazza circolare di circa 570 metri di diametro, circondata da una sterminata serie di edifici pubblici di forme monumentali (le Terme, il Pantheon, il Museo Nazionale, la Borsa, il Teatro, la Dogana), collegati da portici sui quali si sarebbero aperti magazzini, negozi ed edifici privati. Esso venne respinto da Napoleone, il 13 luglio dello stesso anno, perché troppo costoso e, in effetti, sproporzionato ad una città di circa 150 000 abitanti.

Venne quindi ripreso in considerazione un secondo progetto, presentato dal 
Canonica, che limitava l'intervento alla sola parte rivolta verso via Dante (che porta comunque il nome dell'ambizioso progetto: Foro Bonaparte) mentre la vasta area retrostante venne adibita a piazza d'armi, coronata, anni più tardi, dall'Arco della Pace, opera del Cagnola, a quel tempo dedicato a Napoleone.

Dopo Napoleone 
Pochi anni a seguire, nel 1815, Milano e il Regno Lombardo-Veneto, furono annessi nell'Impero d'Austria, sotto il dominio dagli austriaci del Bellegarde e il castello arricchito di cortine, passaggi, prigioni e fossati, divenne tristemente famoso perché durante la rivolta dei milanesi nel 1848 (le cosiddette Cinque giornate di Milano), il
maresciallo Radetzky darà ordine di bombardare la città proprio con suoi cannoni.
Durante i tragici avvenimenti delle guerre d'indipendenza italiane, gli austriaci si ritirarono per qualche tempo e i milanesi ne approfittarono per smantellare parte delle difese rivolte verso la città. Quando nel 
1859 Milano è definitivamente in mano sabauda e dal 1861 parte del Regno d'Italia la popolazione invade il castello, derubando e saccheggiando in segno di rivalsa.
  


















  Fontana Rinascimentale
Circa 20 anni dopo il castello è oggetto di dibattito e molti milanesi propongono di abbatterlo per dimenticare i secoli di gioco militare e soprattutto per costruire un quartiere residenziale estremamente lucroso: tuttavia prevale la cultura storica e l'architetto Luca Beltrami lo sottopose a un restauro massiccio, quasi una ricostruzione, che aveva come scopo far tornare il castello alle forme della signoria degli Sforza. Restauro che terminò nel 1905, quando venne inaugurata la Torre del Filarete, ricostruita in base a disegni del XVI secolo e dedicata a re Umberto I di Savoia, assassinato pochi anni prima. La torre costituisce anche il fondale prospettico della nuova via Dante.
Nella vecchia piazza d'armi vengono inoltre messe a dimora centinaia di piante nel nuovo polmone verde cittadino, il Parco del Sempione, giardino paesaggistico in stile inglese. Il Foro Bonaparte è ricostruito a scopo residenziale anteriormente al castello.

XX secolo
Nel corso del XX secolo il castello viene danneggiato e ristrutturato dopo la seconda guerra mondiale; negli anni novanta fu costruita in piazza castello una grande fontana ispirata ad una precedentemente installata sul posto che venne smantellata negli anni '60 durante i lavori per la costruzione della prima linea della metropolitana e non più rimessa dopo il termine dei lavori. Nel 2005 si è concluso l'ultimo restauro di cortili e sale.
Il quadrilatero attuale del castello racchiude l'ampia piazza d'armi, il corpo dell'edificio che fronteggia l'ingresso principale e la torre mediana è interrotto dalla torre di Bona di Savoia. Antistante vi è il fossato morto, parte dell'antico fossato medievale in corrispondenza del quale sono le fondazioni del castello di porta Giovia. Una porta introduce al cortile della Corte Ducale, di forma rettangolare e con un porticato sui tre lati. Dal lato opposto vi è invece la Rocchetta, la parte del castello più inespugnabile nella quale gli Sforza si rifugiavano in caso di attacco.
Il complesso del castello è al centro di un fossato, racchiuso dentro delle mura rinascimentali e allargato posteriormente (il cosiddetto barco). Questa espansione verso la campagna era chiamata Ghirlanda (fu abbattuta da Beltrami) e collegata al castello interno da altri rivellini e da un barbacane, ancora oggi visibili ma in rovina, così come parte della Ghirlanda (protetta negli angoli da massicce torri).

"Forziere" d'arte e cultura 
Attualmente il complesso ospita:
§  Pinacoteca del Castello Sforzesco: conserva una ricchissima collezione di dipinti, tra cui opere di Filippo LippiAntonello da Messina, Andrea MantegnaCanalettoCorreggioTiepolo e l'ultima statua di Michelangelo, la Pietà Rondanini.
§  Museo della Preistoria
§  Museo d'arte antica
§  Museo del Mobile
§  Raccolte artistiche
§  Rivellino del Santo Spirito (escursione tra i tetti e i passaggi coperti sulla mura esterne del castello)
§  Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
§  Libreria del Castello
nonché numerose mostre itineranti.
Curiosa è la rilevante collezione archeologica di arte paleocristiana e precolombiana raccolta da Carlo Dossi durante i suoi anni di attività di scavo sul territorio milanese, greco e sudamericano.
La collezione venne in parte trattenuta dallo stesso Dossi (si veda il Museo archeologico Villa Pisani Dossi a Corbetta) e, in gran parte, venne donata al Museo del Castello Sforzesco con l'obbligo di istituirvi un museo, la cui causa venne perorata anche dai discendenti dello scapigliato milanese.
È lo stesso Carlo Dossi a parlare più volte di questa donazione all'interno della sua opera Note Azzurre.
Attualmente questi reperti non sono esposti al pubblico e continuano a soggiacere negli scantinati del Castello.




















Francobollo raffigurante il Castello Sforzesco
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Duomo di Milano


Località
1418 e 1577
Inizio costruzione




               














  
                    Facciata del Duomo

Il Duomo di Milano, monumento simbolo del capoluogo lombardo, è dedicato a Santa Maria Nascente ed è situato nell'omonima piazza nel centro della città.
Per superficie, è la quarta chiesa d'Europa, dopo San Pietro in VaticanoSaint Paul's a Londra e la cattedrale di Siviglia. È la chiesa più importante dell'Arcidiocesi di Milano ed è sede della Parrocchia di Santa Tecla nel Duomo di Milano.
Con 11.700 m² di superficie e 440.000 m³ di volume è la chiesa più grande d'Italia e quella con la navata centrale più alta (45 m) e seconda per grandezza nella penisola italiana dopo la basilica di San Pietro nello stato del Vaticano.

Storia 
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Lapide dentro il Duomo che commemora l'inizio della costruzione nel 1386
Una nuova cattedrale europea
Nel luogo dove sorge il Duomo, un tempo si trovavano l'antica cattedrale di Santa Maria Maggiore, cattedrale invernale, e la basilica di Santa Tecla, cattedrale estiva. Dopo il crollo del campanile, l'arcivescovo Antonio de' Saluzzi, sostenuto dalla popolazione, promosse la ricostruzione di una nuova e più grande cattedrale (1386), che sorgesse sul luogo del più antico cuore religioso della città. Per il nuovo edificio si iniziò ad abbattere entrambe le chiese precedenti: Santa Maria Maggiore venne demolita per prima, Santa Tecla in un secondo momento, nel 1461-1462 (parzialmente ricostruita nel 1489 e definitivamente abbattuta nel 1548).
La nuova fabbrica, a giudicare dai resti archeologici emersi dagli scavi nella sacrestia, doveva prevedere originariamente un edificio in mattoni secondo le tecniche del gotico lombardo. Nel gennaio 1387 si gettarono le fondazioni dei piloni, opere colossali che erano state già progettate su disegno l'anno prima. Durante il 1387 si continuarono gli scavi delle fondazioni e si gettarono i piloni. Ciò che fu fatto prima del 1386 venne tutto disfatto o quasi. Nel corso dell'anno il Signore Gian Galeazzo Visconti, assunse il controllo dei lavori, imponendo un progetto più ambizioso. Il materiale scelto per la nuova costruzione divenne allora il marmo di Candoglia e le forme architettoniche quelle del tardo gotico di ispirazione renano-boema.
Il desiderio di Gian Galeazzo era infatti quello di dare alla città un grandioso edificio al passo con le più aggiornate tendenze europee, che simboleggiasse le ambizioni del suo Stato, che, nei suoi piani, sarebbe dovuto diventare il centro di una monarchia nazionale italiana come era successo in Francia e in Inghilterra, inserendosi così tra le grandi potenze del continente.
Gian Galeazzo mise a disposizione le cave e accordò forti sovvenzioni ed esenzioni fiscali: ogni blocco destinato al Duomo era marchiato AUF (Ad usum Fabricae), e per questo sgravo da qualsiasi tributo di passaggio. Come testimonia il ricco archivio conservatosi fino ai giorni nostri, il primo ingegnere capo fu Simone d'Orsenigo, affiancato da altri maestri lombardi, che nel 1388 iniziarono i muri perimetrali. Nel 1389-1390 il francese Nicolas de Bonaventure venne incaricato di disegnare i finestroni.
A dirigere il cantiere vennero chiamati architetti francesi e tedeschi, come Jean MignotJacques Coene o Enrico di Gmünd, i quali però restavano in carica per pochissimo tempo, incontrando una scoperta ostilità da parte delle maestranze lombarde, abituate a una diversa pratica di lavoro. La fabbrica andò quindi avanti in un clima di tensione, con numerose revisioni, che nonostante tutto diedero origine a un'opera di inconfondibile originalità, sia nel panorama italiano che europeo.
Inizialmente le fondazioni erano state preparate per un edificio a tre navate, con cappelle laterali quadrate, i cui muri divisori potessero fare anche da contrafforti. Si decise poi di fare a meno delle cappelle, portando il numero delle navate a cinque e il 19 luglio 1391 venne deliberato l'ingrossamento dei quattro pilastri centrali. Nel settembre dello stesso anno venne interrogato il matematico piacentino Gabriele Stornaloco per definire l'alzato, che si presentava con due ipotesi: "ad triangulum" o "ad quadratum". Il 1 maggio 1392 si scelse la forma delle navate progressivamente decrescenti per un'altezza massima di 76 braccia.

La costruzione del corpo basilicale
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Filippo AbbiatiSan Carlo entra a Milano(1670-80)
Nel 1393 fu scolpito il primo capitello dei pilastri, su disegno di Giovannino de' Grassi, il quale curò un nuovo disegno per i finestroni e fu ingegnere generale fino alla morte nel 1398. Gli successe nel 1400 Filippino degli Organi, che curò la realizzazione dei finestroni absidali. Dal 1407 al 1448 egli fu responsabile capo della costruzione, che portò a termine della parte absidale e il piedicroce, chiuso provvisoriamente dalla facciata ricomposta di Santa Maria Maggiore. Nel 1418 fu consacrato l'altare maggiore da papa Martino V.
Dal 1452 al 1481 fu a capo del cantiere Giovanni Solari, che per i primi due anni fu affiancato anche dal Filarete.
Seguirono Guiniforte Solari, figlio di Giovanni, e Giovanni Antonio Amadeo, che con Gian Giacomo Dolcebuono costruì il tiburio nel 1490. Alla morte dell'Amadeo (1522) i successivi maestri fecero varie proposte "gotiche", tra le quali quella di Vincenzo Seregni di affiancare la facciata da due torri (1537 circa), non realizzata.
Nel 1567 l'arcivescovo Carlo Borromeo impose una ripresa solerte dei lavori, mettendo a capo della Fabbrica Pellegrino Tibaldi, che ridisegnò il presbiterio, che venne solennemente riconsacrato nel 1577 anche se la chiesa non era ancora terminata.

La questione della facciata
                        http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/2e/Dal_Re%2C_Marc%27Antonio_%281697-1766%29_-_Vedute_di_Milano_-_09_-_Il_Duomo_-_ca._1745.jpg/250px-Dal_Re%2C_Marc%27Antonio_%281697-1766%29_-_Vedute_di_Milano_-_09_-_Il_Duomo_-_ca._1745.jpg                                        http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/6f/DuomoMilano1933.jpg/250px-DuomoMilano1933.jpg
                            Il Duomo nel 1745 circa                                                              Il Duomo nel 1933
Per quanto riguarda la facciata il Tibaldi disegnò un progetto nel 1580, basato su un basamento a due piani animato da colonne corinzie giganti e con un'edicola in corrispondenza della navata centrale, affiancata da obelischi. La morte di Carlo Borromeo nel1584 significò l'allontanamento del suo protetto che lasciò la città, mentre il cantiere veniva preso in mano dal suo rivale Martino Bassi, che inviò a Gregorio XIV, papa milanese, un nuovo progetto di facciata. Nel XVII secolo la direzione dei lavori vide la presenza dei migliori architetti cittadini, quali Lelio BuzziFrancesco Maria Ricchino (fino al 1638), Carlo Buzzi (fino al 1658) e i Quadrio. Nel frattempo nel 1628 era stato fatto il portale centrale e nel 1638 i lavori della facciata andavano avanti, con l'obiettivo di creare un effetto a edicole ispirato a Santa Susanna di Roma. A tal fine pervennero nel XVIII secolo i disegni di Luigi Vanvitelli (1745) e Bernardo Vittone (1746).
Tra il 1765 e il 1769 Francesco Croce completò il coronamento del tiburio e la guglia maggiore, sulla quale fu innalzata cinque anni dopo la Madunina di rame dorato, destinata a diventare il simbolo della città. Lo schema della facciata di Buzzi venne ripreso a fine secolo da Luigi CagnolaCarlo Felice Soave e Leopoldo Pollack. Quest'ultimo diede inizio alla costruzione del balcone e della finestra centrale. Nel 1805, su istanza diretta di NapoleoneGiuseppe Zanoia avviò i lavori per il completamento della facciata, in previsione dell'incoronazione a re d'Italia. Il progetto venne finalmente concluso nel 1813 da Carlo Amati. Tra gli scultori che vi lavorarono nei primi anni dell'Ottocento, si può ricordare Luigi Acquisti.

Manutenzione e restauri 
Nel 1858 venne demolito il campanile che si trovava sulla navata, e le campane vennero trasferite nel tiburio, tra le doppie volte. Per tutto il XIX secolo furono completate le guglie e le decorazioni architettoniche, fino al 1892[1]. Per tutto il secolo si susseguirono inoltre lavori di restauro, volti a sostituire i materiali danneggiati dal tempo.
Nel corso della seconda guerra mondiale la Madonnina venne coperta da stracci, onde evitare che i riflessi di luce sulla sua superficie dorata da poco rifatta potessero venire usati come punto di riferimento per i bombardieri alleati in volo sulla città, mentre le vetrate furono preventivamente rimosse e sostituite da rotoli di tela. Pur non essendo stato centrato da bombe ad elevato potenziale, anche il duomo venne danneggiato durante i bombardamenti aerei ed il suo portone centrale bronzeo mostra ancor oggi alcune "ferite" da parte di spezzoni di bombe esplose nelle vicinanze. Nel secondo dopoguerra, a seguito dei danni subiti dai bombardamenti aerei, il Duomo fu restaurato in gran parte, successivamente le restanti porte di legno furono sostituite con altre di bronzo, opera degli scultoriArrigo MinerbiGiannino Castiglioni e Luciano Minguzzi.
Negli anni '60 del Novecento l'inquinamento atmosferico, l'abbassamento della falda freatica e le vibrazioni del traffico della vicina linea della metropolitana, unite al degrado naturale dei materiali e ad alcuni errori nella costruzione, portarono a una grave situazione di rischio, che minò seriamente la stabilità dei quattro piloni che reggono il tiburio e rese necessari, nel 1969, la chiusura della piazza al traffico e il rallentamento dei treni della linea 1. Il restauro statico dei piloni iniziò nel 1981 e venne concluso nel 1986 in occasione del seicentenario della costruzione[1].
Ancor oggi la manutenzione della cattedrale è affidata alla Veneranda fabbrica del Duomo i cui interventi sono continui tanto da far nascere l'espressione milanese Longh comm la fabbrica del Domm, per intendere qualcosa di interminabile.
Contesto urbanistico 
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Il Duomo con in primo piano "la cassina", ovvero il complesso degli edifici della fabbrica del duomo contenenti tutti i laboratori del cantiere, incisione del 1832

« Il Duomo, simbolo per eccellenza di Milano, è la prima cosa che cerchi quando ti alzi al mattino e l'ultima su cui lo sguardo si posa la sera. Si dice che il Duomo di Milano venga solo dopo San Pietro in Vaticano. Non riesco a capire come possa essere secondo a qualsiasi altra opera eseguita dalla mano dell'uomo »

Anticamente il Duomo era circondato dal fitto tessuto urbanistico medievale che, come attorno ad altre grandi cattedrali francesi e tedesche, creava vedute improvvise e maestose del mastodontico edificio, il quale sembrava una montagna di marmo emergente da una trama di minuti edifici di mattoni. L'antico aspetto della zona è testimoniata oggi da vedute antiche e da una serie di fotografie della metà dell'Ottocento. Con l'apertura della piazza di Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1873, la facciata del Duomo poté diventare un grandioso sfondo scenografico, ma, come non mancarono di far notare le numerose polemiche, banale[7].
Il fianco sinistro resta visibile quasi soltanto di scorcio, a causa della vicinanza degli edifici circostanti, mentre l'imbocco di via Vittorio Emanuele II permette di osservare l'articolarsi dei volumi dell'abside, del transetto e del tiburio, fino alla guglia maggiore della Madonnina. Altri interessanti scorci sono visibili da piazza Fontana, dallo squarcio del Verziere, dalla piazzetta del Palazzo Reale o dalla terrazza del primo piano dell'Arengario.
Architettura 
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Schema della pianta e delle volte del Duomo di Milano
Lo stile del Duomo, essendo frutto di lavori secolari, non risponde a un preciso movimento, ma segue piuttosto un'idea di "gotico" mastodontico e fantasmagorico via via reinterpretata. Nonostante ciò, e nonostante le contraddizioni stilistiche nell'architettura, il Duomo si presenta come un organismo unitario. La gigantesca macchina di pietra infatti affascina e attrae l'immaginazione popolare, in virtù anche della sua ambiguità[8], fatta di ripensamenti, di discontinuità e, talvolta, di ripieghi. Anche il concetto di "autenticità" gotica, quando si pensa a come in realtà gran parte delle strutture visibili risalga al periodo neogotico, per non parlare delle frequenti sostituzioni, è in realtà una storpiatura della stessa essenza del monumento, che va visto invece come un organismo architettonico sempre in continua e necessaria ricostruzione[1].
Il duomo ha una pianta a croce latina, con piedicroce a cinque navate e transetto a tre, con un profondo presbiterio circondato da deambulatorio con abside poligonale. All'incrocio dei bracci si alza, come di consueto, il tiburio. L'insieme ha un notevole slancio verticale, caratteristica più transalpina che italiana, ma questo viene in parte attenuato dalla dilatazione in orizzontale dello spazio e dalla scarsa differenza di altezza tra le navate, tipico del gotico lombardo[3].
La struttura portante è composta dai piloni e dai muri perimetrali rinforzati da contrafforti all'altezza degli stessi piloni. Questa è una caratteristica che differenzia il duomo milanese dalle cattedrali transalpine, limitando, rispetto al gotico tradizionale, l'apertura dei finestroni (lunghi e stretti) e dando all'insieme (a eccezione dell'abside) una forma prevalentemente "chiusa", dove la parete è innanzitutto un elemento di forte demarcazione, sottolineata anche dall'alto zoccolo di tradizione lombarda. Viene così a mancare lo slancio libero verso l'alto[3]. Ciò è evidente anche se si considera che guglie e pinnacoli non hanno funzione portante, infatti vennero sporadicamente aggiunti nel corso dei secoli, fino al completamento del coronamento nel XIX secolo.
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Contrafforti, archi rampanti e pinnacoli
contrafforti hanno forma di triangoli e servono per contenere le spinte laterali degli archi. Il basamento è in muratura, come pure le parti interne delle pareti e degli altri elementi, mentre nei pilastri è stata usata un'anima di serizzo; anche le veledelle volte sono in mattoni. Il paramento a vista, che ha anche un ruolo portante, non solo di rivestimento, è invece in marmo di Candoglia bianco rosato con venature grigie: la cava, fin dall'epoca di Gian Galeazzo Visconti, è ancora di proprietà della Fabbrica del Duomo.
Le pareti esterne sono animate da una fitta massa di semipilastri polistili che sono coronati in alto, al di sotto delle terrazze, da un ricamo di archi polilobati sormontati da cuspidi. Le finestre ad arco acuto sono piuttosto strette, poiché come si è detto le pareti hanno funzione portante.
La copertura a terrazze (pure in marmo) è un unicum nell'architettura gotica, ed è sorretta da un doppio ordine incrociato di volte minori. In corrispondenza dei pilastri si leva una "foresta" di pinnacoli, collegati tra di loro da archi rampanti. In questo caso i pinnacoli non hanno funzione strutturale, infatti risalgono quasi tutti alla prima metà del XIX secolo. Nei disegni antichi e nel grande modello del1519 di Bernardo Zenale (Museo del Duomo) si vede una cresta centrale che doveva evidenziare ancora maggiormente la forma triangolare, sia lungo la navata che il transetto, raccordandosi al tiburio, e che venne esclusa dal progetto nel 1836.
Architettura esterna 
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La zona absidale
La parte completata per prima è quella absidale, traforata da grandi finestroni, dove compare lo stemma di Gian Galeazzo Visconti. Le statue, i contrafforti, i doccioni e le guglie risalgono in genere dall'epoca del suo successore, Filippo Maria Visconti, fino al XIX secolo. La quattrocentesca guglia Carelli fu la prima ad essere costruita.
A partire dall'abside, che è del XIV secolo, i fianchi via via sono posteriori avvicinandosi alla facciata, fino al XVII secolo. I contrafforti esterni sono coronati da guglie e legati al basamento da più fasce orizzontali. In alto si trova una cornice ad archetti polilobi su peducci con figure antropomorfe e zoomorfe. Tra i contrafforti, in alto, si trovano le finestre che illuminano le navate[1].
L'abside è poligonale e inquadrata dai corpi delle due sagrestie, che sono coronate dalla guglie più antiche. Illuminano l'abside tre enormi finestroni con nervature in marmo che disegnano, nell'ogiva, i rosoni (di Filippo degli Organi, inizio del XV secolo). Il finestrone centrale, con la manta dei Visconti, è dedicato all'Incarnazione di Cristo.
Architettura interna 
L'interno è a cinque navate, con il transetto a tre. Il presbiterio è profondo e cinto da un deambulatorio, a fianco del quale si aprono le due sagrestie. La navata centrale è ampia il doppio di quelle laterali, che sono di altezza leggermente decrescente, in modo da permettere l'apertura di piccole finestre ad arco acuto, sopra gli archi delle volte, che illuminano l'interno in maniera diffusa e tenue. Manca il triforio.
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Interno
I cinquantadue pilastri polistili dividono le navate e sorreggono le volte a costoloni simulanti un traforo gotico. Questa decorazione fu iniziata dall'abside (metà del XV secolo), proseguita nel tiburio (1501) e ancora nel XVII, fino alle integrazioni e i rifacimenti di Achille Alberti e Alessandro Sanquirico (dal 1823). Dal 1964 non è stata più reintegrata[1].
Molto originali sono i capitelli monumentali a nicchie e cuspidi con statue, che decorano i pilastri lungo la navata centrale, il transetto e l'abside. Alcuni capitelli sono a doppio registro, con statue di santi nelle nicchie sormontate da statue di profeti nelle cuspidi. Gli altri pilastri hanno decorazioni a motivi vegetali.
Il pavimento, su disegno originale di Pellegrino Tibaldi, fu iniziato nel 1584 e terminato, con variazioni, solo tra il 1914 e il 1940. Si tratta di un complesso intreccio di marmi chiari e scuri, tra i quali il nero Varenna, il bianco e rosa di Candoglia, il rosso d'Arzo (in origine, oggi quasi completamente sostituito dal rosso di Verona). Tibaldi definì anche gli altari laterali, i mausolei, il coro e il presbiterio (risistemato nel 1986), sulle richieste del cardinale Borromeo. L'interno oggi ha un aspetto che risente soprattutto di quest'epoca, legata al periodo della Controriforma. Nel XVIII secolo alcuni monumenti vennero trasferiti nelle campate verso la facciata, da poco completate[1].



Misure 
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Le guglie di notte; a destra si vede l'albero di Natale di Milano 2008
Alcune misure del Duomo:
§  altezza della Madonnina dal suolo: 108,50 metri[1];
§  altezza della Madonnina: 4,16 metri[9];
§  altezza della facciata al centro: 56,50 metri;
§  altezza della navata maggiore: 45 metri;
§  lunghezza esterna: 158 metri[1];
§  lunghezza interna: 148 metri;
§  larghezza della facciata principale: 67,90 metri;
§  larghezza interna delle 5 navate: 57,60 metri;
§  larghezza esterna al transetto: 93 metri[1];
§  larghezza esterna ai fianchi: 66 metri[1];
§  superficie interna: 11.700 m²[1];
§  colonne interne: 52;
§  guglie: 135[10];
§  statue: 3400[1], di cui 2300 all'esterno (senza contare le mezze figure negli sguanci delle finestre, i 96 giganti sui doccioni e gli altorilievi)[4];
§  altezza delle colonne interne: 24 metri;
§  diametro della colonne interne: 3,40 metri.

Facciata 
La facciata testimonia di per sé la complessa vicenda edilizia del complesso del Duomo, con la sedimentazione di secoli di architettura e scultura italiana. Quello che si vede oggi è un'affrettata soluzione di compromesso dei primi del Novecento, quando si concluse che era impossibile portare a termine il progetto neogotico di Giuseppe Brentano del 1886-1888. Cinque campiture fanno intuire la presenza della navate, con sei contrafforti (doppi alle estremità e attorno al portale centrale) sormontati da guglie.
I cinque portali e le finestre soprastanti sono del XVII secolo, il balcone centrale è del 1790 ed i tre finestroni neogotici risalgono al XIX secolo.
I basamenti dei contrafforti centrali sono decorati da rilievi seicenteschi, con telamoni della metà del XVII secolo; i rilievi sui basamenti dei contrafforti laterali sono invece del XVIII e XIX secolo.
La decorazione a bassorilievo dei portali venne scolpita ai tempi dell'arcivescovo Borromeo su disegni del Cerano. Le statue di Apostoli e Profeti sulle mensole sono tutte ottocentesche.
Le porte in bronzo sono novecentesche.
Si va dal Tardo Rinascimento del Pellegrini, al Barocco di Francesco Maria Ricchino, al neogotico napoleonico dell'Acquisti. Nel 1886 la 'Grande Fabbrica' indisse un concorso internazionale per una facciata in stile gotico per il Duomo e nell'ottobre del 1888 la giuria scelse Giuseppe Brentano come vincitore, un giovane allievo di Boito.

Decorazione 
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Fiancata nord
La caratteristica distintiva del Duomo di Milano, oltre alla forma di compromesso tra verticalità gotica e orizzontalità di tradizione lombarda, è la straordinaria abbondanza di sculture. A quello che è un incomparabile campionario di statuaria dal XIV al XX secolo si dedicarono maestri di diversa provenienza, soprattutto all'inizio, con esempi che vanno dai maestri campionesi ai modi secchi di Giovannino dei Grassi, per poi passare allo stile morbido e cosmopolita dei maestri boemi, renani e dello stesso Michelino da Besozzo, fino agli esempi di scultura rinascimentale, barocca e neoclassica, con anche qualche opera déco degli anni Venti e Trenta del Novecento.
L'altro grandioso ciclo decorativo riguarda le vetrate, che però, per quanto riguarda gli esempi più antichi, sono andate quasi totalmente distrutte e via via sostituite, soprattutto nei secoli XIX e XX. Sopravvivono pochi "antelli" solo quattrocenteschi inseriti in finestroni più tardi e poco più numerosi sono i vetri della seconda metà del XV secolo e del XVI secolo, disegnati da artisti quali Vincenzo Foppa e Cristoforo de' Mottis

Decorazione della facciata 
Sulla facciata, partendo dal basamento esterno di sinistra i rilievi ritraggono:
§  Morte di Assalonne
§  Sansone toglie le porte di Gaza
§  Sansone sbrana il leone
§  Sacrificio di Caino
§  Sacrificio di Abele
Il fregio del portale sinistro è decorato dai rilievi di Ester ad Assuero su disegno del Cerano, mentre il portale coi pannelli che illustrano l'Editto di Costantino risale al 1948 ed è opera di Arrigo Minerbi.
Il secondo basamento ha rilievi di:
§  Sacrificio di Noè
§  David con la testa di Golia
§  Torre di Babele
Il fregio del portale mostra Sisara e Giaele, sempre disegnato dal Cerano e la porta in bronzo con rilievi sulla Vita di Sant'Ambrogio è di Giannino Castiglioni (1950).
Il terzo basamento ha:
§  Serpente di bronzo
§  Letto di Salomone
§  Figure simboliche
Il portale centrale ha le paraste riccamente decorate da motivi con fiori, frutta e animali, e un timpano con la Creazione di Eva, su disegno del Cerano. La porta bronzea è di Ludovico Pogliaghi e presenta Storie della vita di Maria tra rilievi floreali.
Nel quarto basamento il fregio del portale ritrae Giuditta taglia la testa a Oloferne, disegnato dal Cerano, è il portale bronzeo del 1950 fu iniziato da Franco Lombardi e terminato da Virginio Pessina, son pannelli raffiguranti la Storia di Milano dalla distruzione del Barbarossa alla vittoria di Legnano.
Il rilievi del quinto basamento ritraggono:
§  Torre davidica
§  Mosè fa scaturire le acque
§  Sogno di Giacobbe
Il fregio del portale mostra Salomone e la regina di Saba di Gaspare Vismara. La porta bronzea con Episodi della storia del Duomo è di Luciano Minguzzi (1965).
Il sesto basamento, esterno a destra, ha rilievi di
§  Roveto ardente
§  Cacciata dal Paradiso terrestre
§  Grappolo della Terra Promessa
§  Mosè salvato dalle acque
§  Raffaele e Tobiolo.
Più in alto spiccano particolarmente le grandi statue relative all'Antico Testamento di Luigi Acquisti.
Statue esterne 
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Il centro del rosone dell'abside, con la "razza" viscontea, la Trinità e l'Annunciazione
Tutto l'esterno è decorato da un ricchissimo corredo scultoreo. Sulle mensole degli sguanci delle finestre si trovano statue e busti, sui contrafforti statue coperte da baldacchini marmorei (in basso) e 96 "giganti" (in alto), sui quali svettano i doccioni figurati come esseri mostruosi. Altre statue si trovano sulle guglie, sia a coronamento che nelle nicchie. Il complesso delle sculture è una straordinaria galleria dell'arte a Milano tra il XIV e il neoclassicismo, alla realizzazione della quale parteciparono maestri lombardi, tedeschi, boemi, francesi (fra cui i borgognoni), toscani, veneti e campionesi.
Le statue più importanti sono:
§  Dal fianco destro, secondo contrafforte in basso Sant'Ambrogio di Carlo Simonetta (1649).
§  Sul terzo contrafforte in alto David di Gian Andrea Biffi (1597) e al centro Figura virile di Cristoforo Solari.
§  Sul settimo, in alto, Vescovo, attribuito ad Angelo Marini
§  Nel transetto destro, negli sguanci tra la X e la XIV finestra si trovano una serie di mezze figure di Sante, della fine del Trecento.
§  Sull'ottavo contrafforte, in alto, Costantino di Angelo Marini e al centro una notevole Maddalena di Andrea Fusina
§  Sulla tredicesima finestra Santa Caterina d'Alessandria (in alto) e San Paolo (in basso) entrambe della scuola del Bambaia
§  Sul quindicesimo contrafforte, in alto, San Pietro Martire della scuola di Jacopino da Tradate, e al centro Santo Stefano di Walter Monich.
§  Sul diciassettesimo, sul capocroce destro, in alto Davide e Abigaele di Biagio Vairone
§  Sul diciannovesimo contrafforte, sull'abside, al centro, San Giovanni Battista di Francesco Briosco (1514) e a destra David pure di Biagio Vairone
§  Negli sguanci del finestrone mediano in basso Isachab e Joachim di scuola del Bambaia, al centro due Serafini di Pieter Monich (1403) e in alto due Angeli attribuiti a Matteo Raverti e Niccolò da Venezia (1403). Al centro del rosone si trova la "razza", stemma di Gian Galeazzo Visconti, affiancata ai lati dalle figure dell'Annunciazione, disegnate da Isacco Imbonate e Paolino da Montorfano (1402)
§  Sul contrafforte venti al centro Giuda maccabeo del Fusina (1420) e in alto Nudo virile di Jacopino da Tradate (1404), la Suonatrice di corno di Giorgio Solari (1404) e il notevole Gigante di Matteo Raverti (1404)
§  Sulla ventunesima finestra, in alto, le statue quattrocentesche di Adamo, Abele, Caino ed Eva.
§  Sul ventunesimo contrafforte in basso Tobia, attribuito alla fine del XV-inizio del XVI secolo.
§  Nel capocroce sinistro, sulla ventiduesima finestra, Sibilla cumana del XVI secolo.
§  Sul ventiduesimo contrafforte, al di sotto della guglia Carelli, un Profeta in alto (XVI secolo) e Salomone al centro (1508)
§  Sulla ventitreesima finestra un quattrocentesco Adamo in alto e un cinquecentesco Costantino in basso
§  Sulla venticinquesima finestra, nel transetto sinistro, un San Rocco (XVI secolo), San GaldinoAlessandro V, quest'ultima della scuola diJacopino da Tradate, e un San Francesco d'Assisi (1438)
§  Sulla ventiseiesima finestra alcune mezze figure di Sante di scuola borgognona e una Santa Redegonda attribuita a Niccolò da Venezia(1399).
§  Sulla ventiseiesima San Bernardino della seconda metà del XVI secolo.
§  Sul ventisettesimo contrafforte una Santa Rosalia di Carlo Francesco Mellone (1695)
§  Sulla ventinovesima finestra le quattrocentesche statue della MaddalenaSanto monaco e San Nazario.
§  Sulla trentesima San Bartolomeo della scuola di Jacopino da Tradate e mezze figure di Sante del XIV e XV secolo.
§  Sulla trentunesima, in basso, Apostolo con libro, della bottega di Cristoforo Solari (seconda metà del XV secolo)
§  Sul fianco sinistro del piedicroce, trentatreesima finestra, San Rocco della prima metà del XVI secolo
§  Sulla trentacinquesima San Sebastiano della metà del XV secolo
§  Sul trentasettesimo contrafforte, in alto, Giuditta attribuita ad Antonio Rizzo
§  Sulla trentottesima finestra un Profeta della fine del XVI secolo.

Decorazione interna 
Nel mese di novembre, periodo dedicato a San Carlo Borromeo, nel Duomo vengono esposti i teleri (i cosiddetti "Quadroni") della vita del Santo, dipinti da un gruppo di artisti tra cui spiccano Cerano e Giulio Cesare Procaccini.

Controfacciata 
Il portale mediano, in controfacciata, venne disegnato da Fabio Mangone agli inizi del XVII secolo, ma realizzato solo nel 1820. Il coronamento presenta le statue di Sant'Ambrogio e San Carlo, rispettivamente di Pompeo Marchesi e di Gaetano Monti. Sull'attico una lapide ricorda le due consacrazioni, del 1418 e del 1577. Le vetrate dei finestroni classicheggianti sono del XIX secolo e quelle dei finestrini neogotici sono del XX secolo[1].

La meridiana 
In vicinanza dell'ingresso del Duomo si trova la meridiana col simbolo del capricorno, composta da una striscia d'ottone incassata nel pavimento che attraversa la navata e che risale per tre metri sulla parete di sinistra (a nord). Sulla parete rivolta a sud, ad una altezza di quasi 24 metri dal pavimento, è praticato un foro attraverso il quale, al mezzogiorno solare, un raggio di luce si proietta sulla striscia del pavimento. Per evitare che in alcuni giorni dell'anno il foro d'ingresso della luce finisca in ombra, sul lato sud della chiesa manca l'archetto marmoreo. Ai lati della linea metallica sono installate delle lastre di marmo indicanti i segni zodiacali con le date di ingresso del sole.
Lo strumento fu realizzato nel 1786 dagli astronomi di Brera, restaurato più volte e modificato nel 1827 in seguito al rifacimento del pavimento del Duomo.

Navata esterna destra
Nella prima campata della navata esterna destra si trova il sarcofago dell'arcivescovo Ariberto da Intimiano (m. 1045), sormontato da una copia del famoso Crocifisso in lamina di rame dorato, oggi nel Museo del Duomo, donato originariamente da Ariberto al monastero di San Dionigi[1]. A sinistra, un piccolo marmo seicentesco riporta un'iscrizione che ricorda

« El principio dil Domo di Milano fu nel anno 1386»
La vetrata è decorata da Storie di San Giovanni evangelista di Cristoforo de' Mottis (1473-1477).

Tomba di Ariberto da Intimiano
Nella seconda campata seguono i sarcofagi degli arcivescovi Ottone e Giovanni Visconti, opera di un maestro campionese del primo XIV secolo su due colonne in marmo rosso di Verona e proveniente dall'antica basilica di Santa Tecla. La vetrata è decorata con Storie del Vecchio Testamento di maestri lombardi e fiamminghi (metà del XVI secolo)[1].
Nella terza campata si trova l'elenco degli arcivescovi di Milano e una vetrata con altre Storie del Vecchio Testamento, di maestri lombardi, renani e fiamminghi (metà del XVI secolo)[1].
La quarta campata presenta il sarcofago di Marco Carelli, un mecenate che alla fine del XIV secolo donò trentacinquemila ducati alla Fabbrica del Duomo per accelerare i lavori di costruzione, disegnato da Filippino degli Organi nel 1406, con statue di Jacopino da Tradate[1].
La quinta mostra una lapide con il progetto di Giuseppe Brentano per la facciata, seguita a sinistra dal sepolcro di Gian Andrea Vimercati, morto nel 1548, decorato da una Pietà e due busti del Bambaia (prima metà del XVI secolo). La vetrata "foppesca" (ma che non è opera diVincenzo Foppa), è decorata da Storie del Nuovo Testamento (1470-1475) di maestri lombardi che si ispirarono alle opere del famoso pittore con influssi della scuola ferrarese, è una delle migliori del Duomo[1].
Alla sesta campata vi è un altare detto di Sant'Agata composto da colonne composite e frontone, opera di Pellegrino Tibaldi, dove si trova la pala di Federico Zuccari con San Pietro visita in carcere Sant'Agata (1597). Sulla vetrata si trovano le Storie di Sant'Eligio di Niccolò da Varallo(1480-1489)[1].
Nella settima campata si trova l'altare del Sacro Cuore, pure disegnato dal Pellegrini, con una pala marmorea di Edoardo Rubino, collocata nel1957. La vetrata, disegnata nel 1958 da Jànos Hajnal, ricorda i beati cardinali Schuster e Ferrari, entrambi arcivescovi di Milano[1].
L'ottava campata presenta l'altare della Madonna, pure disegnato dal Pellegrini, con la pala marmorea della Virgo Potens, opera di autore forse renano del 1393, detta di Jacomolo, dal nome del donatore. La vetrata con Storie di Sant'Agnese e Santa Tecla è opera di Pompeo Guido Bertini del 1897-1905[1].
§  Tomba Giovanni Visconti, 1354

§  Elenco degli arcivescovi di Milano

§  Tomba di Marco Carelli (1394)

§  Altare della Madonna

Navata esterna sinistra 
Nella prima campata della navata esterna sinistra si trova meridiana e la vetrata con le Storie di David di Aldo Carpi (1939).
La seconda campata ospita il battistero, opera del Pellegrini, che è composto da un tempietto a base quadrata, sorrette da quattro colonne corinzie, con trabeazione e timpani sui quattro lati. Al centro si trova la vasca, composta da una sarcofago romano in porfido. Alla parete si trovano due lastre marmoree in rosso di Verona, con rilievi di Apostoli, opera probabilmente dei maestri campionesi della fine del XII secolo, proveniente da Santa Maria Maggiore. La vetrata è stata ricomposta con frammenti del XV secolo e illustra Avvenimenti del Nuovo Testamento.
Nella terza campata si trova il monumento agli arcivescovi GiovanniGuido Antonio e Giovanni Angelo Arcimboldi, attribuito a Galeazzo Alessi o a Cristoforo Lombardo (1599). La vetrata ritrae San Michele Arcangelo ed è di Giovanni Domenico Buffa (1939).
Nella quarta campata è interessante la vetrata con le Storie dei Santi Quattro Coronati di Corrado de' Mochis su disegno del Pellegrini(1567).
La quinta conserva il rifacimento del 1832 dell'edicola della Tarchetta dell'Amadeo, i cui frammenti originali sono oggi al Castello Sforzesco. La vetrata di Pietro Angelo Sesini, forse disegnata da Corrado de' Mochis, raffigura la Pentecoste, il Transito e l'Assunzione (1565-1566).
Nella sesta campata si trova l'altare del Crocifisso di San Carlo, di Pellegrino Tibaldi, con il crocifisso ligneo che Carlo Borromeo portò in processione durante la peste del 1576. La vetrata è decorata con le Storie di Sant'Elena, di Rainoldo da Umbria e del Perfundavalle (1574).
Nella settima campata l'altare di San Giuseppe è pure del Pellegrini, con una pala dello Sposalizio della Vergine di Enea Salmeggia e le statue di Aronne e Davide di Francesco Somaini (databili dopo il 1830). La vetrata con le Storie di San Giuseppe è in parte di Valerio Perfundavalle(1576).
L'ultima campata ospita l'altare di Sant'Ambrogio, pure del Pellegrini,, con la pala di Sant'Ambrogio che impone la penitenza a Teodosio di Federico Barocci (1603). Sulla vetrata si trovano le Storie di Sant'Ambrogio di Pompeo Bertini.
Braccio sud del transetto 
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La statua di San Bartolomeo scorticato                         Particolare della statua di San Bartolomeo scorticato
Notevole nel transetto destro è il monumento a Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, opera di Leone Leoni del 1560-1563. È composto da una quinta di marmo di Carrara, con un basamento dove poggiano due colonne tuscaniche in breccia rossa d'Arzo, che reggono unatrabeazione in modo da creare un'edicola. Sotto di essa si trova la statua bronzea del Medeghino, con la gamba claudicante coperta dal mantello. L'opera, che rappresenta un'interpretazione dello stile di Michelangelo, doveva essere corredata dal sarcofago nella parte superiore, che non venne realizzato in osservanza anticipata delle norme del Concilio di Trento in materia di sepolture nelle chiese. Ai lati si trovano altre due statue bronzee: a destra Allegoria della Pace con bassorilievo del Ticino, a sinistra la Milizia con bassorilievo dell'Adda. La parte superiore è decorata da due epigrafi dedicate al Medeghino e a suo fratello Gabriele. Il fastigio centrale ha un bassorilievo della Natività, coronato da unostemma Medici retto da due putti. Altre due colonne di marmo venato più alte reggono le statue bronzee della Prudenza (destra) e della Fama(sinistra).
La vetrata è opera di Giovan Battista Bertini (1849) e presenta Storie dei santi Gervasio e Protasio.
Interessante l'adiacente altare cinquecentesco in marmi policromi antichi, con due ordini di nicchie e colonnine, fatto costruire da Pio IV. La vetrata con le Storie di san Giacomo Maggiore è opera di Corrado de' Mochis del 1554-1564.
A conclusione della navata mediana si trova l'abside della secondo metà del seicento, dove si apre la cappella di San Giovanni Bono. Dentro di essa si trova un altare con statua di Elia Vincenzo Buzzi (1763), mentre i rilievi sugli spicchi della volta sono di Giuseppe RusnatiGiovan Battista e Isidoro VismaraCarlo Simonetta e altri (ultimo quarto del XVII secolo). Le tre vetrate, con Storie di san Giovanni Bono sono del Bertini (1839-1842) .
La navata di sinistra invece ha un'uscita laterale divisa in tre varchi: quello centrale porta al passaggio sotterraneo per l'Arcivescovado, fatto perCarlo Borromeo. Qui la vetrata, con Storie di Santa Caterina d'Alessandria venne disegnata da Biagio e Giuseppe Arcimboldi e realizzata daCorrado de' Mochis (1556). L'altare di San Martino, nelle vicinanze, è decorato da una pala marmorea con la Presentazione di Maria del Bambaia (1543), autore anche dei rilievi alle basi delle colonne (tranne quello nella nicchia destra con Santa Caterina, di Cristoforo Lombardo) e delle statue. Il paliotto con la Nascita della Vergine è opera di Antonio Tantardini (1853). La vetrata con Storie di San Martino è del tardo Cinquecento ed è di vari artisti, tra i quali spiccano Michelino da Besozzo, a cui si attribuiscono i Profeti nei trilobi delle gugliette.
Di fronte al Mausoleo Medici vi è il "pezzo" più celebre di tutto il Duomo: il San Bartolomeo Scorticato (1562), opera di Marco d'Agrate, dove il santo mostra la pelle gettata come una stola sulle spalle.
Il successivo altare di Sant'Agnese, completato da Martino Bassi, è decorato dalla pala marmorea del Martirio di Sant'Agnese, di Carlo Beretta(1754).
§  Transetto e cappella di San Giovanni Bono

§  Tomba del Medeghino

§  Altare di Pio IV

§  Altare di San Martino

Braccio nord del transetto

           http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bf/Lombardia_Milano3_tango7174.jpg/200px-Lombardia_Milano3_tango7174.jpg                                                                          http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f1/IMG_6848_-_Duomo_-_Menorah_Trivulzio_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_3-Mar-2007.jpg/200px-IMG_6848_-_Duomo_-_Menorah_Trivulzio_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_3-Mar-2007.jpg

Cappella della Madonna dell'Albero                                                             Candelabro Trivulzio
Nella navata destra del braccio nord del transetto si trova un altare del tardo Cinquecento con la pala marmorea di Santa Tecla tra i leoni diCarlo Beretta (1754) e un paliotto del 1853 di Antonio Tantardini. Il secondo altare, del XVI secolo, ha una pala marmorea col Crocifisso e santidi Marcantonio Prestinari (1605), mentre la vetrata soprastante mostra le Storie di San Giovanni Damasceno di Nicolò da Varallo (1479).
Dal muro di fondo una porticina dà accesso alla scala dei Principi, che in antico era riservata all'ingresso dei personaggi più illustri, mentre oggi porta all'ascensore per le terrazze. La vetrata con Storie di San Carlo è del 1910.
Nella navata mediana è chiusa da un'absidiola che contiene la cappella della Madonna dell'Albero, disegnata da Francesco Maria Ricchino(1614) e realizzata con alcune modifiche da Fabio Mangone e Tolomeo Rinaldi. Qui la facciata interna dell'arco è decorata da rilievi della metà del Cinquecento: da sinistra NativitàPresentazione al Tempio di scuola del Bambaia, Presepe di Cristoforo SolariCristo fra i dottori di Angelo Marini e Nozze di Cana di Marco d'Agrate. I rilievi sulla volta sono invece di Gian Andrea BiffiGiovanni Pietro Lasagna e del Prestinari(1615-1630). L'altare è decorato da una Madonna col Bambino di Elia Vincenzo Buzzi (1768). Le tre vetrate con Storie della Vergine sono opera di Giovanni Battista Bertini (1842-1847).
Davanti alla cappella si trovano le lapidi funerarie di vari arcivescovi, tra i quali Federico Borromeo e il candelabro Trivulzio, una maestosa opera bronzea donata dall'arciprete G. A. Trivulzio nel 1562: si tratta di un capolavoro della scultura gotica, realizzato nella maggior parte nel XII secolo e attribuito a Nicolas de Verdun o ad artisti renani operanti a cavallo fra Tre e Quattrocento. Il piede poggia su animali chimerici e lungo il corpo corrono viticci e spirali che inquadrano scene del Vecchio TestamentoArti liberaliFiumi e un'Adorazione dei Magi.
Nella navata di sinistra si trova l'altare di Santa Caterina, l'unico altare gotico della cattedrale in gran parte originale. È decorato dalle statue diSan Girolamo e Sant'Agostino, attribuite a Cristoforo Solari (inizio del XVI secolo), e le statuette della fine del XIV secolo riferibili a Giovannino de' Grassi[1].
La vetrata presenta Storie di Santa Caterina da Siena di Corrado de' Mochis (1562) e Vita della Madonna di Giovanni da Monte Cremasco(1562-1567).
A sinistra si trova il monumento funebre dell'arcivescovo Filippo Archinto di Baldassarre da Lazzate (1559 circa), sovrastato dalla vetrata degliApostoli di Carlo Urbini (1567).

Tiburio
Al centro della chiesa si apre il tiburio di Giovanni Antonio Amadeo, alto 68 metri e con una base di forma ottagonale, sostenuta da quattro arcate a sesto acuto e pennacchi. La volta vera e propria è retta dalle lunette a sesto acuto e da quattro archi a tutto sesto, non visibili, nascosti dagli archi acuti.
Gli affreschi a tondo nei pennacchi con i Dottori della Chiesa sono opera di scuola lombarda del 1560-1580 circa. Il profilo delle arcate ospita 60 statue di Profeti e Sibille sono in stiletardogotico della seconda metà del Quattrocento e sono influenzate dall'arte borgognona e renana, che sembrano anticipare il Rinascimento lombardo. Le vetrate nelle finestre sono del1958 e raffigurano gli eventi del Concilio Vaticano II.
Presbiterio 
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Il presbiterio con i due pulpiti
Il complesso del presbiterio è circondato da dieci piloni absidali e venne modificato nel Tardo Rinascimento e di nuovo con la riforma liturgico-funzionale del 1986. Oggi va dalla cupola fino alla parte terminata della navata centrale. Carlo Borromeo fece allineare i pulpitie altre sistemazione, operate da Pellegrino Tibaldi secondo i dettami del Concilio di Trento. Oggi il presbiterio è diviso in due parti, con diverse funzionalità.
Il presbiterio festivo ha accesso da una gradinata semicircolare e occupa una parte della navata centrale e il vecchio coro senatorio (dove si riunivano le magistrature civili e quelle delle confraternite), con vari piani ripavimentati di recente sulla decorazione delPellegrini. Nel punto più elevato si trova l'altare maggiore, proveniente dalla basilica di Santa Maria Maggiore, consacrato da Martino Vnel 1418, che segnò l'inizio ufficiale dell'officiatura della nuova cattedrale. La posizione sopraelevata attuale venne decisa da Carlo Borromeo. Al centro dell'altare si trovano dei rilievi trovati nei lati interni delle lastre che lo compongono, che facevano parte di un sarcofago romano-pagano del III secolo d.C., già riutilizzato come sepoltura di un martire cristiano, come testimonia una croce sul fondo e un cartiglio. La cattedra e l'ambone sono del 1985 e sono accompagnati da due pulpiti cinquecenteschi, progettati dalPellegrini. Il sinistro ha rilievi del Vecchio Testamento e quattro cariatidi con i Dottori della Chiesa; il destro è dedicato al Nuovo Testamento e sculture bronzee degli Evangelisti, con rami sbalzati, dorate e argentati opera di Giovanni Andrea Pellizzone e bronzi diFrancesco Brambilla il Giovane (1585-1599).
Tra due piloni si trovano i grandi organi. Alle spalle si apre il coro dei Canonici (1986) con il Tempietto (ciborio) del Pellegrini, con il tabernacolo cilindrico a torre, dono del 1591 di Pio IV. Il ciborio segna anche il confine con la Cappella Feriale, l'altra sezione del presbiterio. Si tratta di uno spazio separato e raccolto realizzato nel 1986 nel vecchio presbiterio e nel coro, dove poter raccogliere i fedeli durante le liturgie della settimana.
Il coro ligneo delimita questa zona ed è composto da un doppio ordine di stalli intagliati da Giacomo, Giampaolo e Giovanni TauriniPaolo de' Gazzi e Virgilio de' Conti su disegno delPellegrini, di Aurelio Luini e di Giulio Cesare Procaccini nel 1567-1614. I rilievi raccontano 71 episodi (Storie della vita di Sant'Ambrogio e di altri martiri nell'ordine superiore, Storie di arcivescovi milanesi in quello inferiore.
Il Sacro Chiodo
Sospeso sopra l'altare maggiore, attaccato alla chiave di volta, si trova la reliquia più preziosa del Duomo, il chiodo della Vera Croce (Sacro Chiodo), che secondo la tradizione era stato rinvenuto da sant'Elena e usato come morso del cavallo di Costantino I.
Il Sacro Chiodo è oggi conservato in una nicchia contenuta in una copia della serraglia in rame dorato con il rilievo del Padreterno (oggi nel Museo del Duomo). Anche se sospeso molto in alto, una luce rossa lo rende visibile da tutta la cattedrale. Il chiodo è prelevato dall'arcivescovo e mostrato ai fedeli ogni 3 maggio, festa dell'"Invezione della Santa Croce" (cioè del ritrovamento della Croce), ora viene portato in processione il 14 settembre, festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Per prelevare il chiodo dalla sua custodia viene utilizzata la seicentesca nivola, un curioso ascensore oggi meccanizzato. Dei quattro chiodi della Vera Croce, altri due si trovano, secondo la tradizione, nella Corona ferrea a Monza e alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Il quarto chiodo che avrebbe tenuto la scritta "INRI", dalla tradizione più dubbia, si troverebbe nella cattedrale di Colle Val d'Elsa in provincia di Siena.

Le campane
§  La campana maggiore (La bem2 calante), intitolata alla Vergine Maria, venne fusa da Giovanni Battista Busca nel 1582 e benedetta da S. Carlo Borromeo, ha un diametro di 212 cm.
§  La campana mezzana (Si2), dedicata a S. Ambrogio, venne eseguita nel 1577 da Dionisio Busca ed ha un diametro di 176 cm.
§  La campana minore (Mi bem3 calante), dedicata a S. Barnaba, ritenuto l'Apostolo evangelizzatore di Milano, è stata fusa da Gerolamo Busca nel 1515 ed ha un diametro di 128 cm.
Queste tre campane sono situate nell'intercapedine del tiburio tra la volta interna e le pareti esterne. Non sono visibili dall'esterno. Le campane, originariamente a slancio, oggi per problemi statici sono fisse e suonano mediante il movimento del battaglio.
§  Sulla terrazza del tiburio, dietro una guglia, è collocata una quarta campana dedicata a S. Tecla fusa nel 1553 da Antonio Busca.

Gli organi 
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L'organo sud del duomo di Milano (1395-1986)
Si può dire che l'organo del duomo fu una dotazione importante fin dalla nascita della costruzione. Il primo organo fu commissionato già nel1395 a Martino degli Stremidi ed era funzionante nel 1397. Seguirono continue modifiche, aggiunte e ripristini. Un punto d'arrivo è l'opera di Gian Giacomo Antegnati che tra il 1533 e il 1577 costruì l'organo nord, con 12 registri e 50 tasti, che fu trasportato nella posizione attuale nel1579. Nel 1583 venne commissionato a Cristoforo Valvassori l'organo sud (1584-1590), in sostituzione di quello più antico. Le ante di quest'ultimo hanno grandi dipinti: a sinistra con Storie della Vergine e dell'Antico Testamento di Giuseppe Meda (1565-1581); a destra laNatività e il Passaggio del Mar Rosso di Giovanni Antonio Figino e Storie del Vecchio e Nuovo Testamento di Camillo Procaccini (1592-1602). Gli intagli dorati delle casse sono di Giovan Battista MangoneSante Corbetta, Giacomo, Giampaolo e Giovanni Taurini.
I due grandi organi nord e sud furono continuamente rimaneggiati, passando tra l'altro dalla trasmissione meccanica a quella pneumatica fino a quella attuale, elettrica. Sono dotati di otto grandi ante (quattro verso il presbiterio e quattro verso il tornacoro) che possono aprirsi o chiudersi per modulare il volume, riverbero ed echi. Nell'elenco degli organisti titolari vi è anche il figlio di Johann Sebastian BachJohann Christian Bach. Nel corso del XIX secolo anche i Serassi parteciparono alla ristrutturazione dell'organo. Nel 1937 furono aggiunti altri quattro corpi, in modo che tutti quanti fossero comandati dalla stessa consolle. Il risultato acustico fu tuttavia deludente, al punto che tutto il complesso degli organi fu risistemato in occasione della ristrutturazione del presbiterio negli anni 1985-1986. Oggi i quattro organi aggiunti sono posti accanto ai due più antichi, in nuove casse lignee semplici e lineari. La consolle attuale è stata posta sotto la cassa cinquecentesca di destra (sud). L'ultima ristrutturazione (quella del 1986) fu eseguita dalla ditta Tamburini.
Disposizione fonica dell'organo del Duomo di Milano
L'organo del Duomo di Milano ad oggi conta circa 16.000 canne, ed è uno dei maggiori organi del mondo. Accanto a questo grande organo, ne è stato aggiunto un secondo, di piccole dimensioni, posto sulla parte sinistra, accanto al luogo dove prende posto il coro, proprio per essere vicino ai cantori quando serve un accompagnamento meno imponente di quello costituito dall'organo principale[1].

Cripta 
Lo Scurolo di San Carlo
Nel retro coro, davanti alle sacrestie, si aprono le porte che portano alla cripta, un ambiente circolare disegnato dal Pellegrini con un peribolo attorno all'altare. Da qui si passa a un vestibolo rifatto da Pietro Pestagalli nel 1820, dove si trova lo scurolo di San Carlo, una cappella a base ottagonale schiacciata, progettata da Francesco Maria Ricchino nel 1606. Tutta la fascia superiore e il soffitto sono decorati da lamine d'argento con scene della vita di San Carlo, fatte eseguire da Federico Borromeo nel 1595-1633. Qui è sepolto San Carlo in abito pontificale, in un'urna di cristallo di rocca donata da Filippo IV di Spagna[1].

Deambulatorio 
Il deambulatorio corre intorno al coro ed è delimitato dal retro coro marmoreo del Pellegrini, composto da due ordini: quello inferiore decorato da erme, con al centro l'apertura quadrata per accedere alla cripta, e due aperture più strette ai lati a semicircolo; quello superiore con Angeli (disegno dello stesso Pellegrini e realizzati da Francesco Brambilla il Giovane) e tabelle a rilievo, con diciassette Storie di Maria e dieci Simboli mariani, scolpite all'epoca di Federico Borromeo.
La prima campata contiene il monumento di Paolo VI, opera di Francesco Messina (1969). Qui si trova l'accesso alla sagrestia meridionale.
Nella seconda campata si trova l'altare della Vergine dell'Aiuto, con un affresco quattrocentesco ridipinto. Su un mensolone si trova il busto di papa Martino V, opera di Jacopino da Tradate del 1424, che sormonta la lapide sepolcrale di Niccolò e Francesco Piccininocapitani di ventura di Filippo Maria Visconti. Segue il monumento del cardinale Marino Caracciolo, governatore di Milano morto nel 1538, opera del Bambaia composta da un'edicola retta da colonne tuscaniche, che conserva il sarcofago con statua giacente del defunto.
La terza campata ha una copia dell'antica lastra marmorea del Chrismon Sancti Ambrosii e un bassorilievo con Pietà e due angeli di un maestro renano del XIV secolo, oltre a uno stendardo della congregazione del Rosario, del tardo Cinquecento, con ricami e pitture.
Nella quarta campata una lapide del 1611 commemora la consacrazione di Carlo Borromeo del 20 ottobre 1577, affiancata dalle erme del Tempo e dell'Eternità, in parte opera di Pietro Daverio, e da due lastre marmoree con l'elenco dei santi dei quali sono conservate reliquie nel Duomo.
La quinta campata presenta un Crocifisso con dalmatica duecentesco custodito sotto vetro e proveniente dal Castello Sforzesco nel 1449.
La sesta campata ha un Crocifisso con vergine e santi, affrescato da un maestro lombardo all'inizio del XV secolo. Su un mensolone (opera di Francesco Brambilla il Vecchio), si trova una statua di Pio IV benedicente di Angelo Marini (1567). Un altro affresco lombardo coevo è il San Giovanni Battista e Madonna col Bambino. Nella settima campata si trova il portale della sagrestia nord.
Le tre grandi finestre dell'abside sono ornate da statue negli sguanci e da vetrate in gran parte rifatte nel 1833-1865 da Giovanni Battista e Giuseppe Bertini. La prima ha Storie del Nuovo Testamento, la seconda Visione dell'Apocalisse (dove restano nella parte alta una cinquantina di pezzi del XV e XVI secolo) e la terza con Storie del Vecchio Testamento.
§  Madonna con Bambino e San Giovanni, maestro lombardo all'inizio del XV secolo

§  Crocefissione del XV secolo

§  Monumento a Pio IV

§  Monumento a Marino Caracciolo

§  Monumento a Carlo Borromeo

§  Monumento a Martino V
Sagrestia meridionale 
Il portale della sacrestia meridionale è di fine del Trecento ed ha un architrave con profeti scolpiti (attribuiti a Giovannino de' Grassi), un arco ogivale e due pinnacoli. Alla base si trovano i rilievi delle Vergini sagge e delle Vergini folli, mentre la lunetta ha una Deposizione, una Madonna del Latte e un'Assunta. Negli sguaci al di sotto dei baldacchini si trovano le Scene della vita di Cristo, in parte di Hans von Fernach (1393).
L'interno è rivestito da armadi seicenteschi. Sopra l'ingresso si trova un Martirio di Santa Tecla di Aurelio Luini (1592). Il lavabo ha un dossale con cuspide, nella cui lunetta si trova un medaglione polilobato con Gesù e la Samaritana, di Giovannino de' Grassi (1396. A sinistra si trova una nicchia con un Cristo alla Colonna di Cristoforo Solari.
Sagrestia settentrionale 
La sagrestia settentrionale presenta nel portale la più antica opera di scultura del Duomo, opera diGiacomo da Campione e aiuti. Nell'architrave e nei pilastri si trovano i Profeti, e nella lunetta unRedentore benedicente. Più in lato decora una grande edicola con cuspidi sovrapposte, fiancheggiata da quattro pinnacoli. Nell'arco acuto al centro dell'edicola superiore si trova il rilievo con la Vergine benedicente, con resti della primitiva policromia.
All'interno della sagrestia, il pavimento è di Marco Solari da Carona del 1404-1407. Dietro gli armadi barocchi resta un frammento di un'arcata gotica in laterizio, che testimonia la primissima fase costruttiva del Duomo (1386-metà del 1387). Uno dei fastigi degli armadi è dipinta dal Morazzonecon San Carlo e due angeli (1618).
In una nicchia si trova la statua del Redentore di Antonio da Viggiù, mentre a fianco del portale spicca il monumento a Paolo VI del 1989.
Gli scavi 
Da una stretta scala nella facciata interna si può accedere al sotterraneo dove si trova il piano del calpestio del IV secolo, a circa quattro metri sotto il livello attuale della piazza. Qui si trovano i resti del battistero di San Giovanni alle Fonti, edificato dal 378 e compiuto entro il 397, dentro il quale sant'Ambrogio battezzò il futuro sant'Agostino, la notte di pasqua del 387. Aveva un impianto ottagonale, per un diametro di 19,3 metri, con nicchie che si aprivano nelle pareti alternativamente semicircolari e rettangolari. Al centro si trova ancora il fonte ottagonale, il più antico che sia documentato, che però è in gran parte spogliato della decorazione marmorea originale.
Altri resti sono pertinenti alle absidi della basilica di Santa Tecla, cattedrale estiva anteriore alla metà del IV secolo, demolita nel 1461-1462.

Salita ai terrazzi 
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I terrazzi
Attraverso l'ascensore contenuto nel contrafforte est del braccio nord del transetto si può accedere alle terrazze del Duomo, dalle quali si gode una straordinaria vista sul fitto ricamo di guglie, archi rampanti (dove sono nascosti gli scarichi della acque piovane), pinnacoli e statue, nonché sulla città.
Vicino all'ascensore si trova la guglia Carelli, la più antica del Duomo, che risale al 1397-1404 e fu costruita grazie al lascito di Marco Carelli. È decorata da statuette della prima metà del XV secolo che ricordano i modi borgognoni. La parte terminale è stata rifatta mentre la statua sulla sommità, raffigurante Gian Galeazzo Visconti è una copia dell'originale di Giorgio Solari, oggi conservata nelMuseo del Duomo. Tra tutte le altre guglie solo sei risalgono al XV e XVI secolo e una decina sono del XVII e XVIII secolo.
Il tiburio di Giovanni Antonio Amadeo (1490-24 settembre 1500) è sormontato all'esterno da otto archi rovesci che sostengono la guglia maggiore, ultimata nel 1769 con una struttura marmorea, che è collegata a un'armatura di ferro del 1844. Attorno al tiburio si trovano quattro gugliotti, di progetto dell'Amadeo, che vide realizzato solo quello di nord-est (1507-1518), arricchito da statuaria coeva oggi in gran parte sostituita da copie; alla base del gugliotto si conserva il bassorilievo commemorativo con l'effigie dell'Amadeo. Quello di nord-ovest venne ultimato da Paolo Cesa Bianchi nel 1882-1887, quello di sud-ovest da Pietro Pestagalli nel 1844-1847 e quello di sud-est, che fa anche da torre campanaria, da Giuseppe Vandoni nel 1887-1892.
Tra le statue sono singolari quelle nella parte sud della falconatura della facciata, risalenti al rifacimento del 1911-1935: raffigurano gli Sport e sono un inconsueto esempio di statuaria degli anni Trenta.

La Madonnina 
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                          La Madonnina                                                             La guglia maggiore
Inaugurata il 30 dicembre 1774, la Madonnina del Duomo di Milano è il punto più alto della chiesa. La statua venne disegnata dallo scultore Giuseppe Perego e fusa dall'orafo Giuseppe Bini, per un'altezza di 4,16 metri. L'interno della statua conserva uno scheletro metallico, che degradatosi negli anni Sessanta del Novecento, è stato ricoverato nel museo e sostituito da un'ossatura in acciaio.
Il Tesoro 
Nel Tesoro del Duomo, accessibile da una scala di fronte alla sagrestia meridionale, si trovano gli oggetti più preziosi accumulatisi nella lunga storia della cattedrale milanese. Vi si trovano:
§  La cappella argentea del IV secolo, inviata da papa San Damaso a sant'Ambrogio nel IV secolo, contenente le reliquie dei santi martiri e proveniente dalla basilica di San Nazaro Maggiore;
§  La copertina d'avorio di un evangeliario, con storie di Cristo, di probabile fattura ravennate (V secolo)
§  Il dittico "romano" d'avorio con scene della vita di Cristo (IX secolo)
§  La situla d'avorio usata per l'incoronazione di Ottone II nel 979, decorata con archetti e rilievi della Vergine ed Evangelisti.
§  La coperta di evangeliario di Ariberto da Intimiano, in oro a sbalzo e filigrana, con gemme e smalti, di probabile fattura lombarda (XI secolo)
§  Il dittico "greco" d'avorio con scene evangeliche di manifattura bizantina (XI-XII secolo)
§  La colomba eucaristica con smalti, del XII-XIII secolo.
§  Il calice eburneo con rilievi delle Arti Liberali, di manifattura francese del XIV secolo.
§  Un reliquiario gotico di fattura umbra o toscana di fine del XV secolo, donato da Paolo VI
§  Una "pace" in cristallo di rocca del XV secolo.
§  Una "pace" donata da Pio IV (XV secolo)
§  La mitria d'oro detta di San Carlo
§  Le statue in argento e pietre preziose di San Carlo (1610) e Sant'Ambrogio (1698)
Le pareti sono decorate da arazzi, tra cui quello con l'Adorazione dei Magi, disegnato da Gaudenzio Ferrari.



Curiosità
§  In quaresima viene rimossa la croce che si trova generalmente sospesa al di sopra dell'altar maggiore e ne viene posizionata una più grande, poggiante a terra, in maniera di mettere in risalto il sacrificio di Cristo sulla Croce.
§  Quando lo schienale della cattedra, situata al di sotto del pulpito di destra, è coperto con un drappo (solitamente dello stesso colore del tempo liturgico corrispondente), vuol dire che in quel giorno l'arcivescovo celebrerà una Messa in Cattedrale.
§  Nel gradino più basso del presbiterio festivo, ovvero quello in cui si trova l'altar maggiore, sono intarsiati due stemmi, realizzati in marmi policromi, di Giovanni Paolo II e del Cardinale Carlo Maria Martini.

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Palazzo dell'Arengario

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Descrizione

Il palazzo dell'Arengario, edificato sul luogo dove si trovava la cosiddetta "manica lunga", appendice del Palazzo Reale demolita nel 1936 per attuare la sistemazione dell'area del Duomo, è costituito da due corpi di fabbrica che si affacciano alla piazza, determinando uno scenografico fondale, contrapposto all'arco della Galleria, attraverso il quale è aperto il passaggio sulla via Marconi e l'ingresso alla piazza Diaz.

L'edificio a sinistra, che costituiva il vero e proprio Arengario, ha un maggiore sviluppo in pianta, allungato su due soli piani dei tre complessivi, con un collegamento diretto alla piazzetta Reale.
L'impatto fortemente plastico dei due corpi di fabbrica costituisce una monumentale porta urbana che, secondo il proposito dei progettisti, avrebbe segnato il passaggio dall'antica alla nuova città, che, con la riforma della adiacente piazza Diaz, si stava riorganizzando come centro direzionale.
In continuità con i palazzi che delimitano le piazze, l'Arengario è aperto al piede da un portico pilastrato, percorso da una trabeazione su cui si sviluppa una balconata continua.
L'architettura dei due padiglioni è caratterizzata dalle facciate rivestite di marmo di Candoglia, aperte al primo e secondo livello da una doppia serie di alte arcate a tutto sesto, appoggiate alla base dei fabbricati nella quale si aprono portali rettangolari, con cornici a motivo vegetale intrecciato, opera dello scultore Arturo Martini. Di matrice fascista, l'architettura del palazzo concede poco spazio alle decorazioni, limitate alle epiche figurazioni ad altorilievo collocate nel portico della parte basamentale.

I due edifici realizzati, persa l'originaria funzione, sono divenuti sede di uffici comunali e del Consiglio di Zona del Centro Storico, collocati nel padiglione a destra, mentre in quello di sinistra ha sede l'Ente Provinciale per il Turismo. Questo secondo padiglione, collegato al palazzo Reale, ha visto nei propri spazi l'allestimento di esposizioni temporanee.

Con il piano di riordino di tutti i musei civici, l'Amministrazione Comunale ha avviato il progetto di restauro e modifica d'uso; il palazzo al termine dei lavori, affidati all'architetto Italo Rota, diverrà sede prestigiosa del nuovo Museo del Novecento, ed ospiterà nei suoi spazi parte una sezione dell'ampio patrimonio artistico moderno e contemporaneo della città.

Notizie storiche

La vicenda costruttiva dell'Arengario, con le opere di sistemazione della piazza del Duomo avviate all'indomani dell'unità d'Italia secondo il progetto generale dell'architetto Mengoni, vede la sua conclusione soltanto alla metà degli anni Cinquanta, quasi vent'anni dopo le prime elaborazioni progettuali e quando obiettivi e funzioni sono ormai irrimediabilmente mutate.

Per la sistemazione della piazza nel 1937 il podestà di Milano bandisce un concorso di massima; dei 29 progetti presentati, solo quattro passano al secondo grado: sono i progetti elaborati da Marcello Canino, dal gruppo Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, da Filippo Maria Beltrami e da Mario Bacciocchi.

Il sodalizio dei quattro architetti, tutti affermati sulla scena milanese del tempo, è evidentemente mirato a sorprendere i concorrenti con una soluzione unitaria e, soprattutto, monumentale, anche se non è noto l'effettivo contributo di ciascuno.

Al secondo grado di giudizio il gruppo dei quattro architetti presenta un progetto, corredato di cinque varianti, nel quale è mantenuta l'impostazione dei due edifici simmetrici e contrapposti all'Arco della Galleria del Mengoni. La giuria d'esame nel mese di luglio 1938 dichiara vincitore del concorso il gruppo costituito da Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, il cui progetto, composto da un gran numero di disegni nettamente superiore a quanto richiesto, è sottoposto all'attenzione dell'Amministrazione Comunale per un ulteriore approfondimento.

L'8 settembre 1938 il podestà convoca i progettisti risultati vincitori al concorso per conferire loro in via ufficiale l'incarico della stesura definitiva, apportando ai disegni le modifiche suggerite dalla commissione d'esame.

Il giorno 1 febbraio 1939 prendono via ufficialmente i lavori per la costruzione dell'Arengario. Non ancora terminata la costruzione, il fabbricato - e l'adiacente Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale - è danneggiato dai bombardamenti che colpiscono la città, allontanando l'inaugurazione ufficiale. Dopo la seconda guerra, l'immagine dell'edificio risulta particolarmente ingombrante per la sua esplicita espressione del regime fascista.

Al 1947 risale la demolizione dell'arengo vero e proprio, mentre negli anni successivi sono attuati i lavori di adeguamento degli ambienti interni, su progetto di Melchiorre Bega, destinati dalla metà degli anni Cinquanta ad ospitare l'Ente Provinciale del Turismo.


Museo del Novecento

Facciata verso piazza Duomo (all'ultimo piano il neon di Fontana)
Facciata verso piazza Duomo (all'ultimo piano il neon di Fontana)






Il Museo del Novecento di Milano è una galleria predisposta all'esposizione di opere d'arte del XX secolo, ospitata all'interno del Palazzo dell'Arengario.

Progetto per la sede 

La sede del museo si trova nel palazzo dell'Arengario a seguito della decisione dell'amministrazione comunale, ed è stata inaugurata il 6 dicembre 2010.
I lavori solo di ristrutturazione sono stati effettuati a cura di Italo Rota e Fabio Fornasari, per un costo complessivo di circa 28 milioni di euro.[2][3] La facciata dell'Arengario ha subito soltanto un restauro conservativo, mentre i lavori di modernizzazione si sono svolti all'interno, completamente modificato rispetto alla condizione originale. Gli obiettivi dichiarati erano quelli di fornire un percorso museale in grado di sfruttare appieno gli spazi offerti dall'ex edificio; per fare ciò all'interno è stata inserita una rampa a spirale per la risalita, la quale accompagna i visitatori fino alla terrazza panoramica direttamente dalla fermata della metropolitana. La piazza del Duomo è ovviamente visibile dalla terrazza, ma anche dallo scalone grazie a un'ampia vetrata e da un balcone coperto. Il museo inoltre è collegato a Palazzo Reale tramite una passerella esterna sospesa. Gli scavi eseguiti preliminarmente per la sistemazione del cortile interno hanno portato alla luce reperti archeologici, i quali verranno probabilmente esposti nel museo stesso dopo gli opportuni restauri.

Dati tecnici

§  Area totale: (8.500 m² ca.)
§  Arengario: (7.000 m² ca.)
§  Palazzo Reale: (1.500 m² ca.)
§  Area espositiva: (5.000 m² ca.)
§  Arengario: (3.500 m² su tre livelli)
§  Palazzo Reale: (2º piano 1.500 m²)
§  Area dedicata ai servizi:
§  Arengario: bar, ristorante, biglietteria, spazio didattico, servizi igienici (1.800 m² ca.)
§  Depositi: (550 m² ca.)
§  Arengario: (430 m² piano terra)
§  Palazzo Reale: (120 m² ca.)
§  Uffici:
§  Palazzo Reale (400 m²)
§  Archivi del Novecento:
§  Palazzo Reale (300 m² ca.)
§  Locali Tecnici:
§  Arengario (1.000 m² ca.)

L'inaugurazione 

Il museo del Novecento è stato inaugurato il 6 dicembre 2010.

Le opere

Per gli organizzatori, il museo nasce con lo scopo di:

« Diffondere la conoscenza dell’arte del Novecento per generare pluralità di visioni e capacità critica  »


Sono esposte circa quattrocento opere, selezionate tra le quattromila a disposizione delle Civiche Raccolte d'Arte milanesi, molte provenienti dalla collezione Jucker.[9] questi dipinti sono stati esposti dal 1984 al 1999 nella sede di Palazzo Reale, in via del tutto provvisoria. Sotto questo punto di vista il Museo del Novecento colma una lacuna storica, essendo mancato da sempre un centro fisso per l'esposizione di questi lavori, in una città come Milano che è stata culla di basilari movimenti artistici del novecento. Sono esposti dipinti di differenti periodi artistici, dal Futurismo alla Metafisica e la Transavanguardia, i gruppi di Milano, Roma e Torino e l’arte Povera. Si possono ammirare opere di Pellizza da Volpedo,Boccioni, Modigliani, De Chirico, Sironi, Fontana e molti altri. Tra le particolarità bisogna citare un'opera di Fontana creata nel 1956; si tratta di un intero soffitto realizzato per l’Hotel del Golfo a Procchio, all’Isola d'Elba. L'enorme lavoro è stato in deposito al Comune di Milano, che ne ha approfittato per esporlo all'ultimo piano del Museo (ultimo piano interamente dedicato a Fontana.
Le caratteristiche del percorso museale sono ad oggi ancora sotto studio, ma si conosce una linea espositiva di base:
-  la visita è aperta da due sculture di De Chirico dei Bagni Misteriosi della Triennale,
   accompagnate da un antico pavimento romano e dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo.
-  Al primo piano hanno posto opere della collezione Jucker e i futuristi;
-  al secondo gli astrattisti e i classicisti del novecento;
-  il terzo piano ospiterà l'arte concettuale e a Palazzo Reale si conclude il tour con l'arte povera.

 

Opere maggiori 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/29/Quarto_Stato.jpg               Il Quarto Stato, 1901                                                             

http://radiocobalt.com/wp-content/uploads/2011/06/Balla-Young-Girl-Running-on-a-Balcony.jpg        Ragazza che corre sul balcone, 1912                                

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fd/%27Unique_Forms_of_Continuity_in_Space%27%2C_1913_bronze_by_Umberto_Boccioni.jpg            Forme uniche della continuità nello spazio, 1913                  

http://www.arteangelouva.it/images/image002.jpg        Composizione, 1916                                                              

File:Amadeo Modigliani 049.jpg             Ritratto di Paul Guillaume, 1916                                               
Giorgio de Chirico, Il figliol prodigo (1922)     Il figliol prodigo, 1922

          Soffitto spaziale, 1956


File:Piero Manzoni Artist's shit.jpg                Merda d'artista, 1961



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http://museodelnovecento.files.wordpress.com/2011/02/plaket04.jpg?w=460&h=709



I Bagni Misteriosi di Giorgio de Chirico nel Parco Sempione Di Milano

I Bagni Misteriosi, o Fontana metafisica, viene progettata da Giorgio de Chirico, su un’idea dell’ingegnere Giulio Macchi, nel 1973 in occasione della mostra “Contatto Arte/Città”, presentata durante la XV edizione della Triennale di Milano. L’opera è stata in seguito donata al Comune di Milano dal Conte Paolo Marzotto, Presidente A.R.P.A.I. (Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano).
Ideato per essere collocato nel Parco Sempione, il complesso scultoreoBagni Misteriosi prende il nome da un già famoso ciclo di dipinti degli anni Trenta dello stesso de Chirico, elaborazione di un ricordo d’infanzia, una spiaggia di nome “Anavros” nella sua città natale in Grecia, Volos.
Il complesso scultoreo è costituito da una grande piscina dove sono collocate le statue di due nuotatori, un cigno, una palla, una cabina, un trampolino e, infine, un pesce che de Chirico collocò sul tappeto verde del giardino. Tali sculture, inizialmente pensate per una breve esposizione nel parco, furono realizzate dalla società Margraf, in pietra di Vicenza (30 metri cubi), materiale estremamente fragile e deteriorabile: da qui la necessità di preservarne la conservazione.
Nel 1997, le sculture furono rimosse dal parco e messe in sicurezza in attesa dell’intervento di restauro, iniziato nel 2008 e diretto da Gianfranco Mingardi. L’intervento mirava non solo a rinsaldare, consolidare e proteggere le sculture, ma anche a ricostruirne il delicato tessuto cromatico, che ora ha ritrovato i brillanti colori originali, prima andati in parte distrutti e coperti da scritte vandaliche.
I due nuotatori, visibili dalla vita in su, il cigno e il pesce sono i soli pezzi realizzati in stretta collaborazione con de Chirico. Il pesce, portato via già nel 1974, viene acquistato dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico durante un’asta, a Parigi, e riconsegnato al Comune di Milano, è l’unico pezzo che conserva intatti i colori originali e la firma di de Chirico. Queste tre sculture, non ancora restaurate, sono state sostituite nella vasca del Parco Sempione da altrettante copie eseguite dalla società Margraf e da T&D Robotics. Gli originali sono oggi esposti al Museo del Novecento quale testimonianza del legame profondo e duraturo dell’artista con la città di Milano.
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901
Aprire il Museo del Novecento con Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo significa documentare una frattura, più che non suggerire un’apertura verso ciò che si vedrà nelle sale successive. Questo quadro, terminato nel 1901, voleva celebrare gli ideali del socialismo umanitario attraverso il tema della marcia dei lavoratori e con la tecnica pittorica del divisionismo scientifico; ma segnò anche l’ultimo importante episodio, per la civiltà figurativa italiana, di opera d’arte a programma, caratterizzata della ricerca di una superiore e concomitante chiarezza di forma e di contenuto. E non solo. Con Il Quarto Stato tramonta anche una stagione nella quale il mestiere di pittore era governato dal rispettoso, quasi naturale confronto con il museo (qui, in particolare, il riferimento alla raffaellesca Scuola di Atene, il cui cartone Pellizza studiò alla Pinacoteca Ambrosiana), nella convinzione che gli stili storici segnassero una continuità non solo formale ma anche ideale tra passato e presente.
A dispetto della sua ambizione, il quadro ebbe subito una scarsa fortuna: non si aggiudicò, alla sua prima esposizione a Torino nel 1902, né l’acquisto reale (per ovvi motivi di pericolosità del soggetto) né il Premio degli Artisti; e la delusione per questi insuccessi contribuì alla profonda crisi dell’artista che sarebbe culminata nel suo suicidio di pochi anni dopo. Entrato nelle Civiche Gallerie per pubblica sottoscrizione nel 1920 quando Milano era guidata da una giunta socialista e il clima politico sembrava aprire concrete prospettive di rivoluzione, Il Quarto Stato fu, specialmente nel secondo dopoguerra, considerato alla stregua di un’opera-manifesto degli ideali della sinistra, riformista o rivoluzionaria che fosse. Gli venne così negato a lungo lo status di episodio cruciale della storia dell’arte italiana, finché non furono ristabiliti, con il restauro e la stabile esposizione dal 1980 in Galleria d’Arte Moderna, i suoi altissimi valori pittorici.


Ad aprire il percorso del Museo, poi tutto dedicato all’arte moderna italiana, un prezioso nucleo di opere dell’avanguardia internazionale – derivante quasi integralmente dalla collezione di Riccardo e Magda Jucker – riflette le nuove tendenze di inizio secolo, tra espressionismo, cubismo e astrattismo.
Si inizia dal 1907, spartiacque della modernità artistica novecentesca, a cui risale una Femme nue di Picasso, variante o ripensamento di una delle famosissime cinque figure del suo capolavoro d’allora, leDemoiselles d’Avignon. Il passaggio dalla pittura fauve ed espressionista a un primo cubismo si coglie in due paesaggi dello stesso periodo – ilPort Miou di Braque e La Rue-des-Bois dello stesso Picasso – i cui caratteri segnano in modo del tutto innovativo almeno un quindicennio di pittura d’avanguardia in Europa e Stati Uniti; mentre la tradizione postimpressionista è ancora presente nel materico pointillisme del Faro a Westkapelle di Mondrian, dove però già emerge la componente mentale e astratta, radicalmente antinaturalistica, della pittura del maestro olandese.
Pur variamente interpretata, la tendenza “astratta” è tipica degli anni precedenti la prima guerra mondiale: la si coglie anche in altre opere di Picasso e Braque (La bouteille de Bass e Natura morta con chitarra) che, con un Contrasto di forme di Léger, ben esemplificano il cubismo sintetico.
Astratto in senso proprio è l’espressionismo di una raffinataComposizione di Kandinsky del 1916, mentre Klee, nello stesso solco del monacense Cavaliere azzurro, offre una raffinata dimostrazione dell’idea di pittura come pura invenzione compositiva con il suo Wald Bau.
Ma anche negli anni dell’avanguardia il tema della figura continua a giocare un ruolo primario. Al senso costruttivo della linea variamente risolto in tre opere di Modigliani – tra i quali un famoso Ritratto di Paul Guillaume – fa da controcanto il colore in gioiosa libertà di un’Odalisca di Matisse, ultimo gioiello, ma solo cronologicamente, di questa sezione.

Umberto Boccioni
La rivoluzione formale raccontata in questa sala testimonia bene l’accelerazione subita dall’arte moderna italiana in un ristretto volgere di anni, dal 1905 al 1916. L’autore delle opere qui raccolte, Umberto Boccioni, fu il principale artista del futurismo: ma si è voluta distinguere la sua vicenda da quella degli altri artisti che hanno aderito al movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti per due motivi.
Il primo motivo è l’eccezionalità, numerica e qualitativa, della selezione di opere di Boccioni conservata nel Museo del Novecento, a documento del rapporto privilegiato tra l’artista e la città. Nel capoluogo lombardo Boccioni visse dal 1908 fino alla prematura fine del 1916: vi ebbe lo studio, ottenne i suoi primi riconoscimenti, misurò il ritardo culturale con le altre capitali europee. Fu il collezionismo privato anche milanese a fare di Boccioni l’artista per eccellenza del futurismo: questo collezionismo è qui testimoniato dal lascito (1934) delle opere di proprietà di Ausonio Canavese e da quadri cruciali come Elasticità e Il Bevitore che fecero parte della collezione Jucker. E’ anche per merito delle scelte di questi coraggiosi collezionisti che il futurismo venne poi letto come una delle maggiori avanguardie.
La seconda ragion d’essere di questa sala sta nella singolarità della parabola creativa di Boccioni, fortemente impegnato ad allineare l’arte italiana alle più avanzate posizioni internazionali. Lo vediamo qui abbandonare la tradizione divisionista per tentare l’acerbo espressionismo della prima versione degli Stati d’animo; misurarsi con la lingua dei cubisti francesi per poi smarcarsene con la monumentalità cromatica di Elasticità e con la sintesi plastica delle “forme uniche”;  tentare infine, verso il 1914, un ritorno alla solidità dei volumi, e persino alla brutalità antigraziosa, del primo Picasso cubista.
(Prof. Flavio Fergonzi)
La polemica contro il tradizionalismo culturale e il passatismo borghese in nome della modernità, lanciata da Filippo Tommaso Marinetti nelManifesto del Futurismo pubblicato su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909, viene accolta e sviluppata in arte da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini e Giacomo Balla, firmatari del Manifesto dei pittori futuristi e del Manifesto tecnico della pittura futurista nel febbraio e nell’aprile 1910.
Velocità, dinamismo e molteplicità dei punti di visione trasformano ogni realtà attraverso una dimensione percettiva dinamica universale, fino quasi a scomparire, come in Uomo che scende dal tram (1914) di Funi.
Al principio boccioniano di dinamismo plastico e di visione sintetica della simultaneità, si accordano La chahuteuse di Severini (1912) e ilCavaliere rosso di Carrà. Diversa, invece, è la scelta di Balla, basata sul principio della persistenza delle immagini nella retina e sulla possibilità di riproduzione ottico-schematica del movimento. La Bambina x balcone(1912) è il punto più alto della ricerca dedicata al movimento organico, che nel 1913 si incrocia con l’indagine sul movimento meccanico e sugli effetti di smaterializzazione dei corpi data dalla velocità, ben rappresentata da Automobile+velocità+luce (1913).
La meditazione sul linguaggio cubista condotta dai futuristi a partire dal 1912 appare evidente nelle nature morte di Soffici in cui la ricomposizione bidimensionale degli oggetti si staglia su fondi di piani sovrapposti dominati dall’uso del collage e nel Bohémien jouant de l’accordéon (1919) di Severini. Differente è invece la soluzione adottata da Depero e da Sironi a favore di una riconquista della riconoscibilità delle forme e del soggetto.
Nel 1915 il futurismo entra in crisi profonda e se Boccioni avvia il ripensamento del proprio linguaggio sulla lezione di Cézanne e Picasso, Carrà intraprende la ricerca dei “valori puri” per recuperare la relazione con le cose attraverso le forme concrete, come in Natura morta con squadra (1917), opera che guarda a de Chirico e alle meditazioni metafisiche.

Giorgio Morandi
Il bolognese Giorgio Morandi rappresenta un caso unico nella pittura italiana del Novecento. Era un artista appartato, estraneo alle poetiche di sovversione del passato a lui contemporanee, e per di più caparbiamente fedele ai due generi minori del paesaggio e della natura morta: eppure gli venne riconosciuta, a partire dagli anni quaranta, una posizione di primo piano in una storia figurativa di respiro europeo, di particolare significato perché condotta negli anni dell’autarchia culturale del fascismo. Questo perché Morandi, all’interno delle costrizioni di genere e di formato che si autoimpose, seppe individuare con grande lucidità i suoi modelli. Agli esordi si ispirò alla lezione di Cézanne, e ne intuì i possibili sviluppi nel cubismo attraverso l’uso della pennellata spazialmente costruttiva, capace di cristallizzare la visione in una stasi sospesa. Riconobbe nell’esempio della pittura metafisica di de Chirico e Carrà una rivoluzione delle convenzioni rappresentative e una possibilità di ritorno alla pittura antica in termini non nostalgici ma modernamente concettuali. Durante gli anni venti e trenta trovò poi  nell’investigazione visiva di un mondo sempre uguale (gli oggetti allineati nel suo studio di via Fondazza; il paesaggio collinare di Grizzana), il modo di rappresentare la drammatica condizione di solitudine e di angoscia dell’uomo contemporaneo: e la rese in quadri spesso semplici e spogli,  violentemente materici, dalla sapiente costruzione tonale.
Fu il collezionismo privato milanese a decretare l’imporsi di Morandi nel canone dell’arte italiana moderna: questa saletta morandiana è in gran parte il frutto dell’intelligenza di collezionisti come i coniugi Jucker e Boschi – Di Stefano. Ma va qui ricordato un notevole caso di lungimiranza collezionistica pubblica perché le Civiche Raccolte d’Arte di Milano furono il primo museo ad assicurasi un quadro di Morandi (è la natura morta quasi monocroma del 1929 con il mezzo manichino di terracotta) alla Biennale di Venezia del 1930.
(Prof. Flavio Fergonzi)
Giorgio de Chirico
Negli anni dieci de Chirico  divenne, con le tele dipinte prima a Parigi e poi a Ferrara, uno dei protagonisti dell’avanguardia internazionale: la scoperta del significato magico degli oggetti attraverso misteriose relazioni reciproche anticipò i procedimenti del surrealismo. Le collezioni civiche di Milano non possiedono un quadro di Giorgio de Chirico della prima, e più alta stagione metafisica (1910-1919). I quadri metafisici, monopolizzati dopo la prima guerra mondiale dal mercato parigino e poi da quello americano, furono prede ambite del collezionismo internazionale: non li si volle comprare, per diffidenza ideologica, durante il ventennio fascista  e non li si poté più comprare, per il prezzo troppo elevato, nel secondo dopoguerra.
Ma in questa sala si può studiare una eccellente antologia dell’opera di de Chirico degli anni venti e trenta, recentemente rivalutata. De Chirico è infatti un artista, oggi, di imprevista modernità. Egli mise in crisi il principio, di origine romantica, secondo il quale lo stile è la cifra più esclusiva dell’artista e vide nella pittura una operazione indiretta, da compiere assemblando stili e temi già esistenti, dove conta non tanto l’esito formale quanto il pensiero che lo sovrintende. Qui l’artista rideclina, ne  Il Figliol prodigo del 1922, una sua invenzione di cinque anni precedente (il saluto tra il padre-statua e il figlio manichino in una piazza d’Italia) in una pittura classica e luminosa, debitrice nel paesaggio dei modi del Quattrocento Italiano. Oppure si mantiene, inCombattimento, sul sottile confine tra l’omaggio alla classicità e la sua irrisione, con riferimenti formali che vanno dai mosaici delle Terme di Caracalla al Picasso neoclassico. Poi ancora, ne Le trouble du philosophe e ne Les brioches, ripropone i temi della metafisica ma ormai depotenziati in un gioco decorativo e nostalgico. E infine, con Autunnodel 1935, si misura con un sapiente ritorno al mestiere che guarda ai nobili precedenti di Raffaello e di Corot.
(Prof. Flavio Fergonzi)
Arturo Martini
Questa sala riunisce almeno tre tipologie distinte del lavoro di Arturo Martini, oggi unanimemente considerato il maggiore scultore del Novecento italiano.
La prima tipologia è quella della statua da esposizione, un genere che lo scultore letteralmente reinventò a partire dai primi anni venti, azzerandone il noioso sapore accademico con l’innesto di contenuti narrativi (come nella Convalescente), o attraverso inedite deformazioni e sperimentazioni di tecniche e di materiali: come nella Sete, che è una esplicita rimeditazione delle pose antiscultoree e della superficie scabrosa dei calchi in gesso degli antichi abitanti di Pompei sorpresi dall’eruzione.
La seconda tipologia, magistralmente rappresentata dal Torso di giovanetto in bronzo, è quella di opere che mettono in crisi gli statuti fondativi stessi della scultura moderna. In un frangente, il passaggio tra anni venti e trenta, in cui più acuta era l’insofferenza verso il frammento scultoreo espressivo di per sé, Martini ripropose il tema del torso ma ne capovolse l’originale ragion d’essere (il frammento come sintesi del carattere di una figura), concentrandosi invece su fatti puramente plastici (qui l’attenzione per la superficie scultorea come autonomo, fragile involucro).
La terza tipologia è quella delle statuette e dei piccoli gruppi in terracotta. In opposizione al principio classicista che voleva la scultura ancella dell’architettura, disciplinata dalla forma chiusa, Martini scatenò la sua inventiva in liberissime creazioni di sapore letterario: dove il tempo del racconto, spesso un “qui e ora” sentimentale o ironico, era ribadito dalla qualità della modellazione, rapida e anticonvenzionale.
(Prof. Flavio Fergonzi)
Novecento
Milano, autunno 1922: sotto l’ala della giornalista e critica d’arte Margherita Sarfatti, i pittori Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi danno vita al gruppo di Novecento, che si afferma alla Biennale di Venezia del 1924. Il gruppo va quindi gradatamente ampliandosi e consolidandosi, anche grazie alle mostre del 1926 e 1929 alla Permanente di Milano e a una serie di esposizioni internazionali, raccogliendo gran parte dei pittori e scultori italiani operanti nel variegato contesto del “ritorno all’ordine” del primo dopoguerra.
La riscoperta del mestiere, il ritorno alla solidità compositiva e a figurazioni d’impianto più tradizionale rispetto alle sperimentazioni delle avanguardie ne sono i tratti distintivi. Con formula giornalisticamente efficace, commentando la mostra del 1926 sulle colonne del “Popolo d’Italia” la Sarfatti individua lo spirito del Novecento italiano nella “… aspirazione verso il concreto, il semplice, il definitivo”.
Ne sono termini cronologici l’inizio degli anni venti e la prima metà del decennio seguente, quando il clima novecentista si complica delle ragioni dell’arte pubblica monumentale e della connessa poetica epico-popolare.
Il confronto tra i lavori di Sironi, Martini e Casorati fa dialogare l’appello alla classicità in chiave di mito moderno con intimismi dai connotati sottilmente metafisici; vere e proprie summae del novecentismo sono i lavori di Carrà intorno al 1930, mentre la poetica “del semplice” eternizzato trova esemplare manifestazione nella Visita di Guidi.
Il bel cadavere e Donne al caffè, di Funi e Marussig, fanno emergere una componente narrativa ricca di magica descrittività, mentre con il suoFigliol prodigo Baccio Maria Bacci allarga il racconto alla dimensione metastorica della parabola.
Nella ritrattistica, si può cogliere il doppio registro del novecentismo raffrontando l’immediatezza  della Bambina che gioca di Bergonzoni con l’algida astrazione della Margherita di Donghi.
(Prof. Antonello Negri)
Fausto Melotti

Le dieci sculture radunate in questa sala rappresentano una preziosa testimonianza della prima produzione di Fausto Melotti, maturata a Milano intorno alla metà degli anni trenta.
Melotti, a stretto contatto con artisti, intellettuali e musicisti aperti alle sperimentazioni avanguardiste, mise a punto un linguaggio astratto in cui convivevano l’amore per la geometria, la suggestione delle teorie contrappuntistiche e l’eco delle ricerche degli architetti razionalisti. I suoi lavori, memori anche della lezione futurista e metafisica, erano concepiti non sul principio della “modellazione”, inutile tocco personale dell’artista, ma su quello della “modulazione”: ovvero un canone di riferimento che costituiva l’elemento base per la costruzione di una regolata composizione.
Melotti espose molte delle sue opere nella sua prima mostra personale allestita, nel maggio 1935, presso la Galleria del Milione di Milano, allora importante centro di promozione della cultura artistica ed architettonica dell’avanguardia europea.
Il disinteresse del pubblico e l’incomprensione della critica italiana per le sue opere spinsero l’artista a seguire altre strade negli anni successivi. Il silenzio critico che calò sui suoi primi lavori fu interrotto all’inizio degli anni sessanta, quando Melotti fu incluso tra i maggiori rappresentanti della cultura astratta italiana tra le due guerre e alcune sue opere furono inserite in importanti mostre retrospettive.
Nel 1968, Luciano Pistoi, proprietario della Galleria Notizie di Torino, sollecitò la realizzazione di alcune copie delle opere degli anni trenta sopravvissute ai bombardamenti su Milano durante il 1943: Melotti eseguì due copie e una prova d’artista per ogni scultura superstite. Le dieci prove d’artista, ora esposte in questa sala, furono donate alle civiche raccolte di Milano all’indomani della mostra antologica di Palazzo Reale, nel maggio-giugno 1979.