LICEO ARTISTICO STATALE “GIACOMO E PIO MANZU’” BERGAMO / Docente: prof. Piero Rossoni - Discipline Grafiche e Pittoriche (4 ore settimanali) - Laboratorio Artistico/Orientativo (1 ora settimanale)
giovedì 29 marzo 2012
martedì 27 marzo 2012
Lezione del 22/03/2012 - Visita d'istruzione a Milano.
(Dalle 8.00 alle 19.00)
Il Castello Sforzesco è uno dei principali simboli di Milano e della sua storia. Fu costruito nel XV secolo da Francesco Sforza, divenuto da poco Duca di Milano, sui resti di una precedente fortificazione risalente al XIV secolo nota come Castrum Portae Jovis (Castello di porta Giovia o Zobia), e nei secoli ha subito notevoli trasformazioni.
I Visconti e gli
Sforza
Scorcio della facciata anteriore del castello
Venne quindi ripreso in considerazione un secondo progetto, presentato dal Canonica, che limitava l'intervento alla sola parte rivolta verso via Dante (che porta comunque il nome dell'ambizioso progetto: Foro Bonaparte) mentre la vasta area retrostante venne adibita a piazza d'armi, coronata, anni più tardi, dall'Arco della Pace, opera del Cagnola, a quel tempo dedicato a Napoleone.
Palazzo dell'Arengario
Descrizione
L'edificio a sinistra, che costituiva il vero e proprio Arengario, ha un maggiore sviluppo in pianta, allungato su due soli piani dei tre complessivi, con un collegamento diretto alla piazzetta Reale.
L'impatto fortemente plastico dei due corpi di fabbrica costituisce una monumentale porta urbana che, secondo il proposito dei progettisti, avrebbe segnato il passaggio dall'antica alla nuova città, che, con la riforma della adiacente piazza Diaz, si stava riorganizzando come centro direzionale.
In continuità con i palazzi che delimitano le piazze, l'Arengario è aperto al piede da un portico pilastrato, percorso da una trabeazione su cui si sviluppa una balconata continua.
L'architettura dei due padiglioni è caratterizzata dalle facciate rivestite di marmo di Candoglia, aperte al primo e secondo livello da una doppia serie di alte arcate a tutto sesto, appoggiate alla base dei fabbricati nella quale si aprono portali rettangolari, con cornici a motivo vegetale intrecciato, opera dello scultore Arturo Martini. Di matrice fascista, l'architettura del palazzo concede poco spazio alle decorazioni, limitate alle epiche figurazioni ad altorilievo collocate nel portico della parte basamentale.
I due edifici realizzati, persa l'originaria funzione, sono divenuti sede di uffici comunali e del Consiglio di Zona del Centro Storico, collocati nel padiglione a destra, mentre in quello di sinistra ha sede l'Ente Provinciale per il Turismo. Questo secondo padiglione, collegato al palazzo Reale, ha visto nei propri spazi l'allestimento di esposizioni temporanee.
Con il piano di riordino di tutti i musei civici, l'Amministrazione Comunale ha avviato il progetto di restauro e modifica d'uso; il palazzo al termine dei lavori, affidati all'architetto Italo Rota, diverrà sede prestigiosa del nuovo Museo del Novecento, ed ospiterà nei suoi spazi parte una sezione dell'ampio patrimonio artistico moderno e contemporaneo della città.
Notizie storiche
Per la sistemazione della piazza nel 1937 il podestà di Milano bandisce un concorso di massima; dei 29 progetti presentati, solo quattro passano al secondo grado: sono i progetti elaborati da Marcello Canino, dal gruppo Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, da Filippo Maria Beltrami e da Mario Bacciocchi.
Il sodalizio dei quattro architetti, tutti affermati sulla scena milanese del tempo, è evidentemente mirato a sorprendere i concorrenti con una soluzione unitaria e, soprattutto, monumentale, anche se non è noto l'effettivo contributo di ciascuno.
Al secondo grado di giudizio il gruppo dei quattro architetti presenta un progetto, corredato di cinque varianti, nel quale è mantenuta l'impostazione dei due edifici simmetrici e contrapposti all'Arco della Galleria del Mengoni. La giuria d'esame nel mese di luglio 1938 dichiara vincitore del concorso il gruppo costituito da Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, il cui progetto, composto da un gran numero di disegni nettamente superiore a quanto richiesto, è sottoposto all'attenzione dell'Amministrazione Comunale per un ulteriore approfondimento.
L'8 settembre 1938 il podestà convoca i progettisti risultati vincitori al concorso per conferire loro in via ufficiale l'incarico della stesura definitiva, apportando ai disegni le modifiche suggerite dalla commissione d'esame.
Il giorno 1 febbraio 1939 prendono via ufficialmente i lavori per la costruzione dell'Arengario. Non ancora terminata la costruzione, il fabbricato - e l'adiacente Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale - è danneggiato dai bombardamenti che colpiscono la città, allontanando l'inaugurazione ufficiale. Dopo la seconda guerra, l'immagine dell'edificio risulta particolarmente ingombrante per la sua esplicita espressione del regime fascista.
Al 1947 risale la demolizione dell'arengo vero e proprio, mentre negli anni successivi sono attuati i lavori di adeguamento degli ambienti interni, su progetto di Melchiorre Bega, destinati dalla metà degli anni Cinquanta ad ospitare l'Ente Provinciale del Turismo.
Museo del Novecento
Progetto
per la sede
Dati
tecnici
L'inaugurazione
Le opere
Opere maggiori
I Bagni Misteriosi di Giorgio de Chirico nel Parco
Sempione Di Milano
LICEO ARTISTICO STATALE
“GIACOMO E PIO MANZU’”- BERGAMO
VISITA D’ISTRUZIONE
META: MILANO
1 GIORNO - DATA: 22 MARZO
2012-03-07
PERCORSO: CASTELLO SFORZESCO – DUOMO – MUSEO
DEL NOVECENTO
CLASSI: 1^E; 2^E
ACCOMPAGNATORI:
per la classe 1^E: prof.ssa Vessecchia; prof. Pierino Rossoni;
per la classe 2^E: prof.ssa Giovanna Marconi; prof.ssa Anna
Falabretti;
Programma
ore 08.10 - partenza con pullman privato da Bergamo-Ghisleri
ore 09.00 – arrivo Milano Castello
ore 09.30/11.00 - visita guidata al Castello Sforzesco
ore 11:45/13.45 - visita
guidata al Duomo + terrazze (1° e 2° gruppo)
ore 13:45/15.00 - pausa pranzo (pranzo al sacco)
ore 15:00/16.30 - visita guidata al Museo del Novecento (1°
gruppo)
ore 15.30/17.00 - visita guidata al Museo del Novecento (2°
gruppo)
ore 18.00 - partenza per Bergamo
ore 19.00 - arrivo a Bergamo/Ghisleri.
Castello Sforzesco - Milano
Il Castello Sforzesco è uno dei principali simboli di Milano e della sua storia. Fu costruito nel XV secolo da Francesco Sforza, divenuto da poco Duca di Milano, sui resti di una precedente fortificazione risalente al XIV secolo nota come Castrum Portae Jovis (Castello di porta Giovia o Zobia), e nei secoli ha subito notevoli trasformazioni.
Fra il Cinquecento e
il Seicento era una
delle principali cittadelle militari d'Europa; ora è sede di importanti
istituzioni culturali e meta turistica.
I Visconti e gli
Sforza
Giovanni
Visconti alla sua morte lasciò in eredità il ducato ai tre
nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò.
Alla morte di Matteo i due fratelli si spartirono la
città e tra il 1360 e il 1370 Galeazzo Visconti fece
costruire, a cavallo delle mura della città, in corrispondenza della porta
detta Giovia (o Zobia) una fortificazione detta, appunto, Castello di Porta
Giovia.
L'edificio
venne ampliato dai suoi successori: Gian Galeazzo, Giovanni Maria e Filippo Maria. Il risultato è un castello a pianta quadrata, con i
lati lunghi 200 m, e quattro torri agli angoli, di cui le due rivolte verso la
città particolarmente imponenti, con muri perimetrali spessi 7 m.
La costruzione
divenne così dimora permanente della dinastia viscontea.
Nel 1447 venne distrutto dalla neo Aurea Repubblica
Ambrosiana. Fu Francesco I Sforza a ricostruirlo nel 1450 per farne la
sua residenza dopo aver abbattuto la Repubblica.
Nel 1452 Filarete (c. 1400 - c. 1469) venne
ingaggiato dal principe per la costruzione e la decorazione della torre
mediana, che difatti tuttora viene chiamata Torre del Filarete.
Alla morte
di Francesco Sforza, gli successe il figlio Galeazzo Maria che fece continuare i lavori dall'architetto
Benedetto Ferrini. La parte decorativa fu invece affidata ai pittori del
ducato. Nel 1476, sotto la reggenza di Bona di Savoia, fu costruita
la torre omonima.
Nel 1494 salì
al potere Ludovico il Moro e il castello divenne una fastosa opera,
alla realizzazione della quale furono chiamati a lavorare artisti
come Leonardo da Vinci (che affrescò diverse sale dell'appartamento
ducale, insieme a Bernardino Zenale e Bernardino Butinone) e il Bramante (forse
per una ponticella per collegare il castello alla cosiddetta strada coperta),
mentre molti pittori affrescarono la sala della balla illustrando le gesta
di Francesco Sforza. Verso il 1498 nella Sala delle Asse
lavorò Leonardo da Vinci, con la pittura di Intrecci vegetali con frutti e
monocromi di radici e rocce.
Negli anni a
seguire il castello fu però danneggiato dai continui attacchi che francesi,
milanesi e truppe germaniche si scambiarono; fu aggiunto un baluardo allungato
chiamato "tenaglia" che dà il nome alla porta vicina e progettato
forse da Cesare Cesariano, ma nel 1521 la Torre del Filarete
esplose,perché un soldato francese fece per sbaglio esplodere una bomba dopo
che la torre fu adibita ad armeria.
Ritornato al
potere e al castello, Francesco II Sforza ristrutturò e ampliò la fortezza, adibendone una
parte a sontuosa dimora della moglie Cristina di Danimarca.
Sotto gli spagnoli e gli Asburgo
Scorcio della facciata anteriore del castello
Passato sotto
il dominio spagnolo, il castello nel 1535 (governatore Antonio de Leyva) perse il
ruolo di dimora signorile, che passò al Palazzo Ducale, e divenne il fulcro della nuova cittadella, sede
delle truppe militari iberiche: la guarnigione era una delle più grandi
d'Europa, variabile da 1000 a 3000 uomini, con a capo un castellano spagnolo.
Nel 1550 cominciarono i lavori per il potenziamento delle fortificazioni, con
l'aiuto di Vincenzo Seregni: fu costruito un nuovo sistema difensiva di pianta
prima pentagonale e poi esagonale (tipica della fortificazione alla moderna): una stella a sei punte portate poi a 12 con
l'aggiunta di apposite mezzelune. Le difese esterne raggiunsero così la
lunghezza complessiva di 3 km, e coprivano un'area di circa
25,9 ettari. Le antiche
sale affrescate furono adibite a falegnameria e a dispense, mentre nei cortili
furono costruiti pollai in muratura. All'inizio del Seicento l'opera fu
completata coi fossati, che separarono completamente il castello dalla città, e
la "strada coperta".
Quando la
Lombardia passò dalla Spagna agli Asburgo d'Austria, per mano del grande
generale Eugenio di Savoia, il castello conservò la propria destinazione
militare. L'unica nota artistica del dominio austriaco è la statua di San Giovanni Nepomuceno, protettore dell'esercito austriaco, posta nel
cortile della Piazza d'armi.
Le modifiche napoleoniche
Con l'arrivo
in Italia di Napoleone, l'Arciduca Ferdinando d'Austria abbandonò il 9 maggio 1796 la città, lasciando al Castello una guarnigione di 2.000
soldati, sotto il comando del tenente colonnello Lamy, con 152 cannoni e buone
scorte di polvere, fucili e foraggiamenti. Respinto un primo, velleitario,
attacco di un gruppo di Milanesi filogiacobini, subì l'assedio francese,
protratto dal 15 maggio alla
fine di giugno. In un primo tempo Napoleone ordinò di ripristinarne le difese, per
alloggiarvi una guarnigione di 4000 uomini. Nell'aprile 1799 questa dovette subire l'assedio delle rientranti
truppe austro-russe ma, già un anno dopo, all'indomani di Marengo, il dominio francese venne ristabilito.
Già nel 1796 era stata presentata una prima petizione
popolare, che richiedeva l'abbattimento del castello, interpretato quale
simbolo della 'antica tirannide'. Con decreto del 23 giugno 1800 Napoleone ne ordinò, in effetti, la totale demolizione.
Essa venne realizzata a partire dal1801, solo in parte per le torri laterali e in toto per i
bastioni spagnoli, esterni al palazzo sforzesco, di fronte alla popolazione esultante.
Nel 1801 venne presentato dall'architetto Antolini un progetto per il rimaneggiamento del castello
in forme vistosamente neo-classiche, con un atrio a dodici colonne e circondato
dal primo progetto di Foro Buonaparte: una piazza circolare di circa 570 metri
di diametro, circondata da una sterminata serie di edifici pubblici di forme
monumentali (le Terme, il Pantheon, il Museo Nazionale, la Borsa, il Teatro, la
Dogana), collegati da portici sui quali si sarebbero aperti magazzini, negozi
ed edifici privati. Esso venne respinto da Napoleone, il 13 luglio dello
stesso anno, perché troppo costoso e, in effetti, sproporzionato ad una città
di circa 150 000 abitanti.
Venne quindi ripreso in considerazione un secondo progetto, presentato dal Canonica, che limitava l'intervento alla sola parte rivolta verso via Dante (che porta comunque il nome dell'ambizioso progetto: Foro Bonaparte) mentre la vasta area retrostante venne adibita a piazza d'armi, coronata, anni più tardi, dall'Arco della Pace, opera del Cagnola, a quel tempo dedicato a Napoleone.
Dopo Napoleone
Pochi anni a
seguire, nel 1815, Milano e
il Regno Lombardo-Veneto, furono annessi nell'Impero d'Austria, sotto il
dominio dagli austriaci del Bellegarde e il castello arricchito di cortine, passaggi,
prigioni e fossati, divenne tristemente famoso perché durante la rivolta dei
milanesi nel 1848 (le
cosiddette Cinque giornate di Milano), il
maresciallo Radetzky darà
ordine di bombardare la città proprio con suoi cannoni.
Durante i tragici avvenimenti delle guerre d'indipendenza italiane, gli austriaci si ritirarono per qualche tempo e i milanesi ne approfittarono per smantellare parte delle difese rivolte verso la città. Quando nel 1859 Milano è definitivamente in mano sabauda e dal 1861 parte del Regno d'Italia la popolazione invade il castello, derubando e saccheggiando in segno di rivalsa.
Durante i tragici avvenimenti delle guerre d'indipendenza italiane, gli austriaci si ritirarono per qualche tempo e i milanesi ne approfittarono per smantellare parte delle difese rivolte verso la città. Quando nel 1859 Milano è definitivamente in mano sabauda e dal 1861 parte del Regno d'Italia la popolazione invade il castello, derubando e saccheggiando in segno di rivalsa.
Circa 20 anni
dopo il castello è oggetto di dibattito e molti milanesi propongono di
abbatterlo per dimenticare i secoli di gioco militare e soprattutto per
costruire un quartiere residenziale estremamente lucroso: tuttavia prevale la
cultura storica e l'architetto Luca Beltrami lo
sottopose a un restauro massiccio, quasi una ricostruzione, che aveva come
scopo far tornare il castello alle forme della signoria degli Sforza. Restauro che terminò nel 1905, quando venne inaugurata la Torre del
Filarete, ricostruita in base a disegni del XVI secolo e
dedicata a re Umberto I di Savoia, assassinato pochi anni prima. La torre costituisce
anche il fondale prospettico della nuova via Dante.
Nella vecchia
piazza d'armi vengono inoltre messe a dimora centinaia di piante nel nuovo
polmone verde cittadino, il Parco del Sempione, giardino paesaggistico in stile inglese. Il Foro
Bonaparte è ricostruito a scopo residenziale anteriormente al castello.
XX secolo
Nel corso
del XX secolo il
castello viene danneggiato e ristrutturato dopo la seconda guerra mondiale; negli anni novanta fu
costruita in piazza castello una grande fontana ispirata ad una precedentemente
installata sul posto che venne smantellata negli anni '60 durante i lavori per la
costruzione della prima linea della metropolitana e non più rimessa dopo il
termine dei lavori. Nel 2005 si è
concluso l'ultimo restauro di cortili e sale.
Il
quadrilatero attuale del castello racchiude l'ampia piazza d'armi, il corpo
dell'edificio che fronteggia l'ingresso principale e la torre mediana è
interrotto dalla torre di Bona di Savoia. Antistante vi è il fossato morto,
parte dell'antico fossato medievale in corrispondenza del quale sono le
fondazioni del castello di porta Giovia. Una porta introduce al cortile della
Corte Ducale, di forma rettangolare e con un porticato sui tre lati. Dal lato
opposto vi è invece la Rocchetta, la parte del castello più inespugnabile nella
quale gli Sforza si rifugiavano in caso di attacco.
Il complesso
del castello è al centro di un fossato, racchiuso dentro delle mura
rinascimentali e allargato posteriormente (il cosiddetto barco). Questa
espansione verso la campagna era chiamata Ghirlanda (fu abbattuta da Beltrami)
e collegata al castello interno da altri rivellini e da un barbacane, ancora oggi
visibili ma in rovina, così come parte della Ghirlanda (protetta negli angoli
da massicce torri).
"Forziere" d'arte e cultura
Attualmente
il complesso ospita:
§ Pinacoteca del Castello Sforzesco: conserva una ricchissima
collezione di dipinti, tra cui opere di Filippo Lippi, Antonello da Messina, Andrea Mantegna, Canaletto, Correggio, Tiepolo e l'ultima statua di Michelangelo, la Pietà Rondanini.
§ Museo della
Preistoria
§ Museo d'arte
antica
§ Museo del
Mobile
§ Raccolte
artistiche
§ Rivellino del
Santo Spirito (escursione tra i tetti e i passaggi coperti sulla mura esterne
del castello)
§ Archivio
Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
§ Libreria del
Castello
nonché
numerose mostre itineranti.
Curiosa è la
rilevante collezione archeologica di arte paleocristiana e precolombiana
raccolta da Carlo Dossi durante
i suoi anni di attività di scavo sul territorio milanese, greco e sudamericano.
La collezione
venne in parte trattenuta dallo stesso Dossi (si veda il Museo archeologico Villa Pisani Dossi a Corbetta) e, in gran
parte, venne donata al Museo del Castello Sforzesco con l'obbligo di istituirvi
un museo, la cui causa venne perorata anche dai discendenti dello scapigliato
milanese.
È lo stesso
Carlo Dossi a parlare più volte di questa donazione all'interno della sua
opera Note Azzurre.
Attualmente
questi reperti non sono esposti al pubblico e continuano a soggiacere negli
scantinati del Castello.
Francobollo raffigurante il Castello Sforzesco
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Duomo di Milano
Località
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Inizio costruzione
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Facciata del
Duomo
Il Duomo
di Milano, monumento simbolo del capoluogo lombardo, è dedicato a Santa Maria Nascente ed è situato nell'omonima piazza nel centro della città.
Per
superficie, è la quarta chiesa d'Europa, dopo San Pietro in Vaticano, Saint Paul's a Londra e la cattedrale di Siviglia. È la chiesa più importante dell'Arcidiocesi di Milano ed è sede della Parrocchia di Santa
Tecla nel Duomo di Milano.
Con
11.700 m² di superficie e 440.000 m³ di volume è la chiesa più grande
d'Italia e quella
con la navata centrale più alta (45 m) e seconda per grandezza nella
penisola italiana dopo la basilica di San Pietro nello stato del Vaticano.
Storia
Lapide dentro il Duomo che commemora l'inizio della costruzione
nel 1386
Una nuova cattedrale
europea
Nel luogo dove
sorge il Duomo, un tempo si trovavano l'antica cattedrale di Santa Maria Maggiore, cattedrale
invernale, e la basilica di Santa Tecla, cattedrale estiva. Dopo il crollo del campanile,
l'arcivescovo Antonio de' Saluzzi, sostenuto dalla popolazione, promosse la
ricostruzione di una nuova e più grande cattedrale (1386), che sorgesse sul luogo del più antico cuore
religioso della città. Per il nuovo edificio si iniziò ad abbattere entrambe le
chiese precedenti: Santa Maria Maggiore venne demolita per prima, Santa Tecla
in un secondo momento, nel 1461-1462 (parzialmente
ricostruita nel 1489 e
definitivamente abbattuta nel 1548).
La nuova
fabbrica, a giudicare dai resti archeologici emersi dagli scavi nella
sacrestia, doveva prevedere originariamente un edificio in mattoni secondo
le tecniche del gotico lombardo. Nel gennaio 1387 si gettarono le fondazioni dei piloni, opere
colossali che erano state già progettate su disegno l'anno prima. Durante il
1387 si continuarono gli scavi delle fondazioni e si gettarono i piloni. Ciò
che fu fatto prima del 1386 venne tutto disfatto o quasi. Nel corso dell'anno
il Signore Gian Galeazzo Visconti, assunse il controllo dei lavori, imponendo un
progetto più ambizioso. Il materiale scelto per la nuova costruzione divenne
allora il marmo di Candoglia e le forme architettoniche quelle del tardo gotico di
ispirazione renano-boema.
Il desiderio
di Gian Galeazzo era infatti quello di dare alla città un grandioso edificio al
passo con le più aggiornate tendenze europee, che simboleggiasse le ambizioni
del suo Stato, che, nei suoi piani, sarebbe dovuto diventare il centro di una
monarchia nazionale italiana come era successo in Francia e
in Inghilterra, inserendosi
così tra le grandi potenze del continente.
Gian Galeazzo
mise a disposizione le cave e accordò forti sovvenzioni ed esenzioni fiscali:
ogni blocco destinato al Duomo era marchiato AUF (Ad usum
Fabricae), e per questo sgravo da qualsiasi tributo di passaggio. Come
testimonia il ricco archivio conservatosi fino ai giorni nostri, il primo
ingegnere capo fu Simone d'Orsenigo, affiancato da altri maestri lombardi, che nel 1388 iniziarono i muri perimetrali. Nel 1389-1390 il
francese Nicolas de Bonaventure venne
incaricato di disegnare i finestroni.
A dirigere il
cantiere vennero chiamati architetti francesi e tedeschi, come Jean Mignot, Jacques Coene o Enrico di Gmünd, i quali però restavano in carica per pochissimo
tempo, incontrando una scoperta ostilità da parte delle maestranze lombarde,
abituate a una diversa pratica di lavoro. La fabbrica andò quindi avanti in un
clima di tensione, con numerose revisioni, che nonostante tutto diedero origine
a un'opera di inconfondibile originalità, sia nel panorama italiano che
europeo.
Inizialmente
le fondazioni erano state preparate per un edificio a tre navate, con cappelle laterali quadrate, i cui muri divisori
potessero fare anche da contrafforti. Si decise poi di fare a meno delle
cappelle, portando il numero delle navate a cinque e il 19 luglio 1391 venne deliberato l'ingrossamento dei quattro pilastri centrali.
Nel settembre dello stesso anno venne interrogato il matematico
piacentino Gabriele Stornaloco per definire l'alzato, che si presentava con due
ipotesi: "ad triangulum" o "ad
quadratum". Il 1 maggio 1392 si scelse la forma delle navate progressivamente
decrescenti per un'altezza massima di 76 braccia.
La costruzione del
corpo basilicale
Filippo
Abbiati, San Carlo entra a Milano(1670-80)
Nel 1393 fu scolpito il primo capitello dei pilastri, su
disegno di Giovannino de' Grassi, il quale curò un nuovo disegno per i finestroni e fu
ingegnere generale fino alla morte nel 1398. Gli successe nel 1400 Filippino degli Organi, che curò la realizzazione dei finestroni absidali.
Dal 1407 al 1448 egli fu responsabile capo della costruzione, che
portò a termine della parte absidale e il piedicroce, chiuso
provvisoriamente dalla facciata ricomposta di Santa Maria Maggiore. Nel 1418 fu consacrato l'altare maggiore da papa Martino V.
Dal 1452 al 1481 fu a capo del cantiere Giovanni Solari, che per i
primi due anni fu affiancato anche dal Filarete.
Seguirono Guiniforte Solari, figlio di
Giovanni, e Giovanni Antonio Amadeo, che con Gian Giacomo Dolcebuono costruì il tiburio nel 1490. Alla morte dell'Amadeo (1522) i successivi maestri fecero varie proposte
"gotiche", tra le quali quella di Vincenzo Seregni di
affiancare la facciata da due torri (1537 circa), non realizzata.
Nel 1567 l'arcivescovo Carlo Borromeo impose
una ripresa solerte dei lavori, mettendo a capo della Fabbrica Pellegrino Tibaldi, che ridisegnò il presbiterio, che venne
solennemente riconsacrato nel 1577 anche se la chiesa non era ancora terminata.
La questione della facciata
Per quanto
riguarda la facciata il Tibaldi disegnò un progetto nel 1580, basato su un basamento a due piani animato da
colonne corinzie giganti e con un'edicola in
corrispondenza della navata centrale, affiancata da obelischi. La morte di
Carlo Borromeo nel1584 significò
l'allontanamento del suo protetto che lasciò la città, mentre il cantiere
veniva preso in mano dal suo rivale Martino Bassi, che inviò
a Gregorio XIV, papa
milanese, un nuovo progetto di facciata. Nel XVII secolo la direzione dei
lavori vide la presenza dei migliori architetti cittadini, quali Lelio Buzzi, Francesco Maria Ricchino (fino al 1638), Carlo Buzzi (fino
al 1658) e i Quadrio. Nel
frattempo nel 1628 era
stato fatto il portale centrale e nel 1638 i lavori della facciata andavano avanti, con
l'obiettivo di creare un effetto a edicole ispirato a Santa Susanna di Roma. A tal fine pervennero nel XVIII secolo i
disegni di Luigi Vanvitelli (1745) e Bernardo Vittone (1746).
Tra il 1765 e il 1769 Francesco Croce completò
il coronamento del tiburio e la guglia maggiore, sulla quale
fu innalzata cinque anni dopo la Madunina di rame
dorato, destinata a diventare il simbolo della città. Lo schema della facciata di
Buzzi venne ripreso a fine secolo da Luigi Cagnola, Carlo Felice Soave e Leopoldo Pollack. Quest'ultimo
diede inizio alla costruzione del balcone e della finestra centrale. Nel 1805, su istanza diretta di Napoleone, Giuseppe Zanoia avviò i
lavori per il completamento della facciata, in previsione dell'incoronazione
a re d'Italia. Il progetto
venne finalmente concluso nel 1813 da Carlo Amati. Tra gli
scultori che vi lavorarono nei primi anni dell'Ottocento, si può
ricordare Luigi Acquisti.
Manutenzione e
restauri
Nel 1858 venne demolito il campanile che si trovava sulla navata, e le campane
vennero trasferite nel tiburio, tra le doppie volte. Per tutto il XIX secolo furono completate le guglie e le decorazioni architettoniche, fino
al 1892[1]. Per tutto il secolo si susseguirono inoltre lavori di restauro, volti a
sostituire i materiali danneggiati dal tempo.
Nel corso della seconda guerra mondiale la Madonnina venne coperta da stracci, onde evitare che i riflessi di luce sulla
sua superficie dorata da poco rifatta potessero venire usati come punto di
riferimento per i bombardieri alleati in volo sulla città, mentre le vetrate
furono preventivamente rimosse e sostituite da rotoli di tela. Pur non essendo
stato centrato da bombe ad elevato potenziale, anche il duomo venne danneggiato
durante i bombardamenti aerei ed il suo portone centrale bronzeo mostra ancor
oggi alcune "ferite" da parte di spezzoni di bombe esplose nelle
vicinanze. Nel secondo dopoguerra, a seguito dei danni subiti dai
bombardamenti aerei, il Duomo fu restaurato in gran parte, successivamente le
restanti porte di legno furono sostituite con altre di bronzo, opera degli scultoriArrigo
Minerbi, Giannino Castiglioni e Luciano
Minguzzi.
Negli anni '60 del Novecento l'inquinamento atmosferico, l'abbassamento della falda
freatica e le vibrazioni del traffico della vicina linea
della metropolitana, unite al degrado naturale dei materiali e ad alcuni
errori nella costruzione, portarono a una grave situazione di rischio, che minò
seriamente la stabilità dei quattro piloni che reggono il tiburio e rese
necessari, nel 1969, la chiusura della piazza al traffico e il
rallentamento dei treni della linea 1. Il restauro statico dei piloni iniziò
nel 1981 e venne concluso nel 1986 in occasione del seicentenario della costruzione[1].
Ancor oggi la manutenzione della cattedrale è affidata alla Veneranda fabbrica del Duomo i cui interventi sono continui tanto da far nascere
l'espressione milanese Longh comm la fabbrica del Domm, per intendere qualcosa di
interminabile.
Contesto urbanistico
Il Duomo con in primo piano "la cassina",
ovvero il complesso degli edifici della fabbrica del duomo contenenti tutti i
laboratori del cantiere, incisione del 1832
« Il Duomo, simbolo
per eccellenza di Milano, è la prima cosa che cerchi quando ti alzi al mattino e l'ultima su cui
lo sguardo si posa la sera. Si dice che il Duomo di Milano venga solo
dopo San Pietro in Vaticano. Non riesco a capire come possa essere secondo a qualsiasi altra opera
eseguita dalla mano dell'uomo »
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Anticamente il Duomo era circondato dal fitto tessuto urbanistico medievale
che, come attorno ad altre grandi cattedrali francesi e tedesche, creava vedute
improvvise e maestose del mastodontico edificio, il quale sembrava una montagna
di marmo emergente da una trama di minuti edifici di mattoni. L'antico aspetto
della zona è testimoniata oggi da vedute antiche e da una serie di fotografie
della metà dell'Ottocento. Con l'apertura della piazza di Giuseppe
Mengoni tra il 1865 e il 1873, la facciata del Duomo poté diventare un grandioso
sfondo scenografico, ma, come non mancarono di far notare le numerose
polemiche, banale[7].
Il fianco sinistro resta visibile quasi soltanto di scorcio, a causa della
vicinanza degli edifici circostanti, mentre l'imbocco di via Vittorio Emanuele
II permette di osservare l'articolarsi dei volumi dell'abside, del transetto e del tiburio, fino alla guglia maggiore della Madonnina. Altri interessanti
scorci sono visibili da piazza Fontana, dallo squarcio del Verziere, dalla
piazzetta del Palazzo Reale o dalla terrazza del primo piano dell'Arengario.
Architettura
Schema della pianta e delle volte del Duomo di Milano
Lo stile del
Duomo, essendo frutto di lavori secolari, non risponde a un preciso movimento,
ma segue piuttosto un'idea di "gotico" mastodontico e fantasmagorico
via via reinterpretata. Nonostante ciò, e nonostante le contraddizioni stilistiche
nell'architettura, il Duomo si presenta come un organismo unitario. La
gigantesca macchina di pietra infatti affascina e attrae l'immaginazione
popolare, in virtù anche della sua ambiguità[8], fatta di
ripensamenti, di discontinuità e, talvolta, di ripieghi. Anche il concetto di
"autenticità" gotica, quando si pensa a come in realtà gran parte
delle strutture visibili risalga al periodo neogotico, per non
parlare delle frequenti sostituzioni, è in realtà una storpiatura della stessa
essenza del monumento, che va visto invece come un organismo architettonico
sempre in continua e necessaria ricostruzione[1].
Il duomo ha
una pianta a croce latina, con
piedicroce a cinque navate e transetto a tre,
con un profondo presbiterio circondato
da deambulatorio con abside poligonale. All'incrocio dei bracci si alza,
come di consueto, il tiburio. L'insieme ha
un notevole slancio verticale, caratteristica più transalpina che italiana, ma
questo viene in parte attenuato dalla dilatazione in orizzontale dello spazio e
dalla scarsa differenza di altezza tra le navate, tipico del gotico lombardo[3].
La struttura
portante è composta dai piloni e dai muri perimetrali rinforzati da
contrafforti all'altezza degli stessi piloni. Questa è una caratteristica che
differenzia il duomo milanese dalle cattedrali transalpine, limitando, rispetto
al gotico tradizionale, l'apertura dei finestroni (lunghi
e stretti) e dando all'insieme (a eccezione dell'abside) una forma
prevalentemente "chiusa", dove la parete è innanzitutto un elemento
di forte demarcazione, sottolineata anche dall'alto zoccolo di tradizione lombarda. Viene così a mancare lo
slancio libero verso l'alto[3]. Ciò è
evidente anche se si considera che guglie e pinnacoli non
hanno funzione portante, infatti vennero sporadicamente aggiunti nel corso dei
secoli, fino al completamento del coronamento nel XIX secolo.
Contrafforti, archi rampanti e pinnacoli
I contrafforti hanno
forma di triangoli e servono per contenere le spinte laterali degli archi. Il
basamento è in muratura, come pure le parti interne delle pareti e degli altri
elementi, mentre nei pilastri è stata usata un'anima di serizzo; anche
le veledelle volte sono in mattoni. Il paramento a vista, che ha anche un ruolo
portante, non solo di rivestimento, è invece in marmo di Candoglia bianco rosato con venature grigie: la cava, fin
dall'epoca di Gian Galeazzo Visconti, è ancora di proprietà della Fabbrica del Duomo.
Le pareti
esterne sono animate da una fitta massa di semipilastri polistili che sono
coronati in alto, al di sotto delle terrazze, da un ricamo di archi polilobati
sormontati da cuspidi. Le finestre ad arco acuto sono piuttosto strette, poiché
come si è detto le pareti hanno funzione portante.
La copertura a
terrazze (pure in marmo) è un unicum nell'architettura gotica, ed è sorretta da un doppio ordine incrociato di
volte minori. In corrispondenza dei pilastri si leva una "foresta"
di pinnacoli, collegati
tra di loro da archi rampanti. In questo caso i pinnacoli non hanno funzione
strutturale, infatti risalgono quasi tutti alla prima metà del XIX secolo. Nei
disegni antichi e nel grande modello del1519 di Bernardo Zenale (Museo del Duomo) si vede una cresta centrale che
doveva evidenziare ancora maggiormente la forma triangolare, sia lungo la
navata che il transetto, raccordandosi al tiburio, e che venne
esclusa dal progetto nel 1836.
Architettura
esterna
La zona absidale
La parte
completata per prima è quella absidale, traforata da grandi finestroni, dove
compare lo stemma di Gian Galeazzo Visconti. Le statue, i contrafforti, i doccioni e le guglie
risalgono in genere dall'epoca del suo successore, Filippo Maria Visconti, fino al XIX secolo. La quattrocentesca guglia Carelli fu
la prima ad essere costruita.
A partire
dall'abside, che è del XIV secolo, i fianchi via via sono posteriori
avvicinandosi alla facciata, fino al XVII secolo. I contrafforti esterni sono
coronati da guglie e legati al basamento da più fasce orizzontali. In alto si
trova una cornice ad archetti polilobi su peducci con figure antropomorfe e
zoomorfe. Tra i contrafforti, in alto, si trovano le finestre che illuminano le
navate[1].
L'abside è
poligonale e inquadrata dai corpi delle due sagrestie, che sono coronate dalla
guglie più antiche. Illuminano l'abside tre enormi finestroni con nervature in
marmo che disegnano, nell'ogiva, i rosoni (di Filippo degli Organi, inizio del
XV secolo). Il finestrone centrale, con la manta dei Visconti, è dedicato
all'Incarnazione di Cristo.
Architettura
interna
L'interno è a
cinque navate, con il transetto a tre. Il presbiterio è
profondo e cinto da un deambulatorio, a fianco del
quale si aprono le due sagrestie. La navata centrale è ampia il doppio di
quelle laterali, che sono di altezza leggermente decrescente, in modo da
permettere l'apertura di piccole finestre ad arco acuto, sopra gli archi delle
volte, che illuminano l'interno in maniera diffusa e tenue. Manca il triforio.
Interno
I cinquantadue
pilastri polistili dividono le navate e sorreggono le volte a costoloni simulanti
un traforo gotico. Questa decorazione fu iniziata dall'abside (metà del XV
secolo), proseguita nel tiburio (1501) e ancora nel XVII, fino alle integrazioni e i
rifacimenti di Achille Alberti e Alessandro Sanquirico (dal 1823). Dal 1964 non è stata più reintegrata[1].
Molto
originali sono i capitelli monumentali a nicchie e cuspidi con statue, che
decorano i pilastri lungo la navata centrale, il transetto e l'abside. Alcuni
capitelli sono a doppio registro, con statue di santi nelle nicchie sormontate
da statue di profeti nelle cuspidi. Gli altri pilastri hanno decorazioni a
motivi vegetali.
Il pavimento,
su disegno originale di Pellegrino Tibaldi, fu iniziato nel 1584 e terminato, con variazioni, solo tra il 1914 e il 1940. Si tratta di un complesso intreccio di marmi chiari
e scuri, tra i quali il nero Varenna, il bianco e rosa di Candoglia, il rosso
d'Arzo (in origine, oggi quasi completamente sostituito dal rosso di Verona).
Tibaldi definì anche gli altari laterali, i mausolei, il coro e il presbiterio
(risistemato nel 1986), sulle
richieste del cardinale Borromeo. L'interno oggi ha un aspetto che risente
soprattutto di quest'epoca, legata al periodo della Controriforma. Nel XVIII
secolo alcuni monumenti vennero trasferiti nelle campate verso la facciata, da
poco completate[1].
Misure
Le guglie di notte; a destra si vede l'albero di
Natale di Milano 2008
Alcune misure del Duomo:
§ altezza della facciata al centro: 56,50 metri;
§ altezza della navata maggiore: 45 metri;
§ lunghezza interna: 148 metri;
§ larghezza della facciata principale: 67,90 metri;
§ larghezza interna delle 5 navate: 57,60 metri;
§ colonne interne: 52;
§ statue: 3400[1], di cui 2300 all'esterno (senza contare le mezze figure negli sguanci
delle finestre, i 96 giganti sui doccioni e gli altorilievi)[4];
§ altezza delle colonne interne: 24 metri;
§ diametro della colonne interne: 3,40 metri.
Facciata
La facciata
testimonia di per sé la complessa vicenda edilizia del complesso del Duomo, con
la sedimentazione di secoli di architettura e scultura italiana. Quello che si
vede oggi è un'affrettata soluzione di compromesso dei primi del Novecento,
quando si concluse che era impossibile portare a termine il progetto neogotico di Giuseppe Brentano del 1886-1888. Cinque
campiture fanno intuire la presenza della navate, con sei contrafforti (doppi
alle estremità e attorno al portale centrale) sormontati da guglie.
I cinque portali
e le finestre soprastanti sono del XVII secolo, il balcone centrale
è del 1790 ed i tre
finestroni neogotici risalgono
al XIX secolo.
I basamenti
dei contrafforti centrali sono decorati da rilievi seicenteschi, con telamoni della
metà del XVII secolo; i rilievi sui basamenti dei contrafforti laterali sono
invece del XVIII e XIX secolo.
La decorazione
a bassorilievo dei portali venne scolpita ai tempi dell'arcivescovo Borromeo su
disegni del Cerano. Le statue
di Apostoli e Profeti sulle mensole sono tutte
ottocentesche.
Si va dal
Tardo Rinascimento del Pellegrini, al Barocco di Francesco Maria Ricchino, al neogotico napoleonico dell'Acquisti. Nel 1886 la 'Grande Fabbrica' indisse un concorso
internazionale per una facciata in stile gotico per il Duomo e nell'ottobre del 1888 la giuria scelse Giuseppe Brentano come vincitore, un giovane allievo di Boito.
Decorazione
Fiancata nord
La
caratteristica distintiva del Duomo di Milano, oltre alla forma di compromesso
tra verticalità gotica e orizzontalità di tradizione lombarda, è la
straordinaria abbondanza di sculture. A quello che è un incomparabile
campionario di statuaria dal XIV al XX secolo si dedicarono maestri di diversa
provenienza, soprattutto all'inizio, con esempi che vanno dai maestri campionesi ai modi secchi di Giovannino dei Grassi, per poi passare allo stile morbido e cosmopolita dei
maestri boemi, renani e dello stesso Michelino da Besozzo, fino agli esempi di scultura rinascimentale, barocca
e neoclassica, con anche qualche opera déco degli
anni Venti e Trenta del Novecento.
L'altro
grandioso ciclo decorativo riguarda le vetrate, che però, per quanto riguarda
gli esempi più antichi, sono andate quasi totalmente distrutte e via via
sostituite, soprattutto nei secoli XIX e XX. Sopravvivono pochi
"antelli" solo quattrocenteschi inseriti in finestroni più tardi e
poco più numerosi sono i vetri della seconda metà del XV secolo e del XVI
secolo, disegnati da artisti quali Vincenzo Foppa e Cristoforo de' Mottis
Decorazione della
facciata
Sulla facciata, partendo dal basamento esterno di sinistra i rilievi
ritraggono:
§ Sansone sbrana il leone
Il fregio del portale sinistro è decorato dai rilievi di Ester ad
Assuero su disegno del Cerano, mentre il portale coi pannelli che
illustrano l'Editto di Costantino risale al 1948 ed è opera di Arrigo
Minerbi.
Il secondo basamento ha rilievi di:
§ Sacrificio di Noè
§ David con la testa di Golia
§ Torre di Babele
Il fregio del portale mostra Sisara e Giaele, sempre disegnato
dal Cerano e la porta in bronzo con rilievi sulla Vita di Sant'Ambrogio è
di Giannino Castiglioni (1950).
Il terzo basamento ha:
§ Serpente di bronzo
§ Letto di Salomone
§ Figure simboliche
Il portale centrale ha le paraste riccamente decorate da motivi con fiori, frutta e animali, e un
timpano con la Creazione di Eva, su disegno del Cerano. La porta
bronzea è di Ludovico Pogliaghi e presenta Storie
della vita di Maria tra rilievi floreali.
Nel quarto basamento il fregio del portale ritrae Giuditta taglia
la testa a Oloferne, disegnato dal Cerano, è il portale bronzeo del 1950 fu iniziato da Franco
Lombardi e terminato da Virginio Pessina, son pannelli raffiguranti la Storia di Milano dalla distruzione
del Barbarossa alla vittoria di Legnano.
Il rilievi del quinto basamento ritraggono:
§ Torre davidica
§ Mosè fa scaturire le acque
§ Sogno di Giacobbe
Il fregio del portale mostra Salomone e la regina di Saba di Gaspare Vismara. La porta bronzea con Episodi della storia del Duomo è
di Luciano Minguzzi (1965).
Il sesto basamento, esterno a destra, ha rilievi di
§ Roveto ardente
§ Cacciata dal Paradiso terrestre
§ Grappolo della Terra Promessa
§ Mosè salvato dalle acque
§ Raffaele e Tobiolo.
Più in alto spiccano particolarmente le grandi statue relative all'Antico
Testamento di Luigi
Acquisti.
Statue esterne
Il centro del rosone dell'abside, con la "razza" viscontea, la Trinità e l'Annunciazione
Tutto l'esterno è decorato da un ricchissimo corredo
scultoreo. Sulle mensole degli sguanci delle finestre si trovano statue e
busti, sui contrafforti statue coperte da baldacchini marmorei (in basso) e 96
"giganti" (in alto), sui quali svettano i doccioni figurati come
esseri mostruosi. Altre statue si trovano sulle guglie, sia a coronamento che
nelle nicchie. Il complesso delle sculture è una straordinaria galleria
dell'arte a Milano tra il XIV e il neoclassicismo, alla realizzazione della quale parteciparono maestri lombardi, tedeschi,
boemi, francesi (fra cui i borgognoni), toscani, veneti e campionesi.
Le statue più importanti sono:
§ Sul terzo contrafforte in alto David di Gian Andrea
Biffi (1597) e al centro Figura virile di Cristoforo
Solari.
§ Nel transetto destro, negli sguanci tra la X e la XIV finestra si trovano
una serie di mezze figure di Sante, della fine del Trecento.
§ Sull'ottavo contrafforte, in alto, Costantino di Angelo Marini e al centro una notevole Maddalena di Andrea Fusina
§ Sulla tredicesima finestra Santa Caterina d'Alessandria (in
alto) e San Paolo (in basso) entrambe della scuola del Bambaia
§ Sul quindicesimo contrafforte, in alto, San Pietro Martire della
scuola di Jacopino da Tradate, e al centro Santo
Stefano di Walter Monich.
§ Sul diciannovesimo contrafforte, sull'abside, al centro, San
Giovanni Battista di Francesco Briosco (1514) e a destra David pure di Biagio Vairone
§ Negli sguanci del finestrone mediano in basso Isachab e Joachim di
scuola del Bambaia, al centro due Serafini di Pieter Monich (1403) e in alto due Angeli attribuiti a Matteo
Raverti e Niccolò da Venezia (1403). Al centro del rosone si trova la "razza", stemma
di Gian Galeazzo Visconti, affiancata ai lati dalle figure
dell'Annunciazione, disegnate da Isacco Imbonate e Paolino da Montorfano (1402)
§ Sul contrafforte venti al centro Giuda maccabeo del Fusina
(1420) e in alto Nudo virile di Jacopino da Tradate (1404), la Suonatrice di corno di Giorgio Solari (1404) e il notevole Gigante di Matteo
Raverti (1404)
§ Sulla ventunesima finestra, in alto, le statue quattrocentesche di Adamo,
Abele, Caino ed Eva.
§ Sul ventunesimo contrafforte in basso Tobia, attribuito alla
fine del XV-inizio del XVI secolo.
§ Nel capocroce sinistro, sulla ventiduesima finestra, Sibilla cumana del
XVI secolo.
§ Sul ventiduesimo contrafforte, al di sotto della guglia Carelli, un Profeta in
alto (XVI secolo) e Salomone al centro (1508)
§ Sulla ventitreesima finestra un quattrocentesco Adamo in
alto e un cinquecentesco Costantino in basso
§ Sulla venticinquesima finestra, nel transetto sinistro, un San
Rocco (XVI secolo), San Galdino, Alessandro V,
quest'ultima della scuola diJacopino da Tradate, e un San Francesco
d'Assisi (1438)
§ Sulla ventiseiesima finestra alcune mezze figure di Sante di
scuola borgognona e una Santa Redegonda attribuita a Niccolò da Venezia(1399).
§ Sulla ventiseiesima San Bernardino della seconda metà del
XVI secolo.
§ Sulla ventinovesima finestra le quattrocentesche statue della Maddalena, Santo
monaco e San Nazario.
§ Sulla trentesima San Bartolomeo della scuola di Jacopino da Tradate e mezze figure di Sante del
XIV e XV secolo.
§ Sulla trentunesima, in basso, Apostolo con libro, della bottega
di Cristoforo Solari (seconda metà del XV
secolo)
§ Sul fianco sinistro del piedicroce, trentatreesima finestra, San
Rocco della prima metà del XVI secolo
§ Sulla trentacinquesima San Sebastiano della metà del XV
secolo
§ Sulla trentottesima finestra un Profeta della fine del XVI
secolo.
Decorazione
interna
Nel mese di novembre, periodo dedicato a San Carlo Borromeo, nel Duomo vengono esposti i
teleri (i cosiddetti "Quadroni") della vita del Santo, dipinti da un gruppo di
artisti tra cui spiccano Cerano e Giulio Cesare Procaccini.
Controfacciata
Il portale mediano, in controfacciata, venne disegnato da Fabio Mangone agli inizi del XVII secolo, ma realizzato solo nel 1820. Il coronamento presenta le statue di Sant'Ambrogio e San
Carlo, rispettivamente di Pompeo Marchesi e di Gaetano Monti. Sull'attico una lapide ricorda le due consacrazioni,
del 1418 e del 1577. Le vetrate dei finestroni classicheggianti sono del
XIX secolo e quelle dei finestrini neogotici sono del XX secolo[1].
La meridiana
In vicinanza dell'ingresso del Duomo si trova la meridiana col simbolo
del capricorno, composta da una striscia d'ottone incassata nel pavimento che attraversa la navata e che risale per tre
metri sulla parete di sinistra (a nord). Sulla parete rivolta a sud, ad una
altezza di quasi 24 metri dal pavimento, è praticato un foro attraverso il quale,
al mezzogiorno solare, un raggio di luce si proietta sulla striscia del
pavimento. Per evitare che in alcuni giorni dell'anno il foro d'ingresso della
luce finisca in ombra, sul lato sud della chiesa manca l'archetto marmoreo. Ai
lati della linea metallica sono installate delle lastre di marmo indicanti
i segni zodiacali con le date di ingresso del sole.
Lo strumento fu realizzato nel 1786 dagli astronomi di Brera, restaurato più volte e modificato nel 1827 in seguito al rifacimento del pavimento del Duomo.
Navata esterna destra
Nella prima campata della navata esterna destra si trova il
sarcofago dell'arcivescovo Ariberto da Intimiano (m. 1045), sormontato da una copia del famoso Crocifisso in lamina di rame dorato,
oggi nel Museo del Duomo, donato originariamente da Ariberto al monastero di San Dionigi[1]. A sinistra, un piccolo marmo seicentesco riporta un'iscrizione che
ricorda
Tomba di Ariberto da Intimiano
Nella seconda campata seguono i sarcofagi degli arcivescovi Ottone e Giovanni Visconti, opera di un maestro campionese
del primo XIV secolo su due colonne in marmo rosso di Verona e proveniente dall'antica basilica di Santa Tecla. La vetrata è
decorata con Storie del Vecchio Testamento di maestri lombardi
e fiamminghi (metà del XVI secolo)[1].
Nella terza campata si trova l'elenco degli arcivescovi di Milano e una vetrata con
altre Storie del Vecchio Testamento, di maestri lombardi, renani e
fiamminghi (metà del XVI secolo)[1].
La quarta campata presenta il sarcofago di Marco Carelli, un
mecenate che alla fine del XIV secolo donò trentacinquemila ducati alla Fabbrica del Duomo per accelerare i lavori di costruzione,
disegnato da Filippino degli Organi nel 1406, con statue di Jacopino da Tradate[1].
La quinta mostra una lapide con il progetto di Giuseppe Brentano per la facciata, seguita a sinistra dal sepolcro di Gian Andrea Vimercati,
morto nel 1548, decorato da una Pietà e due busti del Bambaia (prima metà del XVI secolo). La vetrata "foppesca" (ma che
non è opera diVincenzo Foppa), è decorata da Storie del Nuovo Testamento (1470-1475) di maestri lombardi che si ispirarono alle opere del famoso pittore con
influssi della scuola
ferrarese, è una delle migliori del Duomo[1].
Alla sesta campata vi è un altare detto di Sant'Agata composto da colonne
composite e frontone, opera di Pellegrino Tibaldi, dove si trova la pala di Federico
Zuccari con San Pietro visita in carcere Sant'Agata (1597). Sulla vetrata si trovano le Storie di Sant'Eligio di Niccolò da Varallo(1480-1489)[1].
Nella settima campata si trova l'altare del Sacro Cuore, pure disegnato
dal Pellegrini, con una pala marmorea di Edoardo
Rubino, collocata nel1957. La vetrata, disegnata nel 1958 da Jànos Hajnal, ricorda i beati cardinali Schuster e Ferrari, entrambi
arcivescovi di Milano[1].
L'ottava campata presenta l'altare della Madonna, pure disegnato dal Pellegrini, con la pala marmorea della Virgo Potens,
opera di autore forse renano del 1393, detta di Jacomolo, dal nome del donatore. La vetrata con Storie
di Sant'Agnese e Santa Tecla è opera di Pompeo Guido Bertini del 1897-1905[1].
§ Tomba Giovanni Visconti, 1354
§ Elenco degli arcivescovi di Milano
§ Tomba di Marco Carelli (1394)
§ Altare della Madonna
Navata esterna sinistra
Nella prima campata della navata esterna sinistra si trova meridiana e la
vetrata con le Storie di David di Aldo Carpi (1939).
La seconda campata ospita il battistero, opera del Pellegrini, che è
composto da un tempietto a base quadrata, sorrette da quattro colonne corinzie,
con trabeazione e timpani sui quattro lati. Al centro si trova la vasca,
composta da una sarcofago romano in porfido. Alla parete si trovano due lastre marmoree in rosso di Verona, con
rilievi di Apostoli, opera probabilmente dei maestri campionesi della fine del XII secolo,
proveniente da Santa Maria Maggiore. La vetrata è stata ricomposta con
frammenti del XV secolo e illustra Avvenimenti del Nuovo Testamento.
Nella terza campata si trova il monumento agli arcivescovi Giovanni, Guido Antonio e Giovanni Angelo Arcimboldi, attribuito a Galeazzo
Alessi o a Cristoforo Lombardo (1599). La vetrata ritrae San Michele Arcangelo ed è di Giovanni Domenico Buffa (1939).
Nella quarta campata è interessante la vetrata con le Storie dei
Santi Quattro Coronati di Corrado de' Mochis su disegno del Pellegrini(1567).
La quinta conserva il rifacimento del 1832 dell'edicola della Tarchetta dell'Amadeo, i cui frammenti originali sono oggi al Castello Sforzesco. La vetrata di Pietro Angelo Sesini, forse disegnata da Corrado de' Mochis, raffigura la Pentecoste, il Transito e l'Assunzione (1565-1566).
Nella sesta campata si trova l'altare del Crocifisso di San Carlo, di Pellegrino Tibaldi, con il crocifisso ligneo
che Carlo Borromeo portò in processione durante la peste del
1576. La vetrata è decorata con le Storie di
Sant'Elena, di Rainoldo da Umbria e del Perfundavalle (1574).
Nella settima campata l'altare di San Giuseppe è pure del Pellegrini, con una pala dello Sposalizio della Vergine di Enea
Salmeggia e le statue di Aronne e Davide di Francesco
Somaini (databili dopo il 1830). La vetrata con le Storie di San Giuseppe è in parte
di Valerio Perfundavalle(1576).
L'ultima campata ospita l'altare di Sant'Ambrogio, pure del Pellegrini,, con la pala di Sant'Ambrogio che impone la
penitenza a Teodosio di Federico
Barocci (1603). Sulla vetrata si trovano le Storie di Sant'Ambrogio di Pompeo Bertini.
Braccio sud del transetto
Notevole nel transetto destro è il monumento a Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, opera di Leone Leoni del 1560-1563. È composto da una quinta di marmo di Carrara, con un basamento dove poggiano due colonne tuscaniche in breccia rossa d'Arzo, che reggono unatrabeazione in modo da creare un'edicola. Sotto di essa si
trova la statua bronzea del Medeghino, con la gamba claudicante coperta dal
mantello. L'opera, che rappresenta un'interpretazione dello stile di Michelangelo, doveva essere corredata dal sarcofago nella parte superiore, che non
venne realizzato in osservanza anticipata delle norme del Concilio di Trento in materia di sepolture
nelle chiese. Ai lati si trovano altre due statue bronzee: a destra Allegoria
della Pace con bassorilievo del Ticino, a sinistra
la Milizia con bassorilievo dell'Adda. La parte
superiore è decorata da due epigrafi dedicate al Medeghino e a suo fratello
Gabriele. Il fastigio centrale ha un bassorilievo della Natività,
coronato da unostemma Medici retto da due putti. Altre due colonne di marmo
venato più alte reggono le statue bronzee della Prudenza (destra)
e della Fama(sinistra).
La vetrata è opera di Giovan Battista Bertini (1849) e presenta Storie dei santi Gervasio e Protasio.
Interessante l'adiacente altare cinquecentesco in marmi policromi antichi,
con due ordini di nicchie e colonnine, fatto costruire da Pio IV. La vetrata con le Storie di san Giacomo Maggiore è opera
di Corrado de' Mochis del 1554-1564.
A conclusione della navata mediana si trova l'abside della secondo metà del
seicento, dove si apre la cappella di San Giovanni
Bono. Dentro di essa si trova un altare con statua
di Elia Vincenzo Buzzi (1763), mentre i rilievi sugli spicchi della volta sono di Giuseppe
Rusnati, Giovan Battista e Isidoro Vismara, Carlo Simonetta e altri (ultimo quarto del XVII secolo). Le tre vetrate, con Storie
di san Giovanni Bono sono del Bertini (1839-1842) .
La navata di sinistra invece ha un'uscita laterale divisa in tre varchi:
quello centrale porta al passaggio sotterraneo per l'Arcivescovado, fatto perCarlo
Borromeo. Qui la vetrata, con Storie di Santa Caterina
d'Alessandria venne disegnata da Biagio e Giuseppe Arcimboldi e realizzata daCorrado de' Mochis (1556). L'altare di San Martino, nelle vicinanze, è decorato da una pala
marmorea con la Presentazione di Maria del Bambaia (1543), autore anche dei rilievi alle basi delle colonne (tranne quello nella
nicchia destra con Santa Caterina, di Cristoforo Lombardo) e delle statue. Il paliotto con la Nascita della Vergine è opera di Antonio Tantardini (1853). La vetrata con Storie di San Martino è del tardo Cinquecento
ed è di vari artisti, tra i quali spiccano Michelino da Besozzo, a cui si attribuiscono i Profeti nei
trilobi delle gugliette.
Di fronte al Mausoleo Medici vi è il "pezzo" più celebre di tutto
il Duomo: il San Bartolomeo Scorticato (1562), opera di Marco
d'Agrate, dove il santo mostra la pelle gettata come una stola
sulle spalle.
Il successivo altare di Sant'Agnese, completato da Martino Bassi, è decorato dalla pala marmorea del Martirio di Sant'Agnese,
di Carlo Beretta(1754).
§ Transetto e cappella di San Giovanni Bono
§ Tomba del Medeghino
§ Altare di Pio IV
§ Altare di San Martino
Braccio nord del transetto
Cappella della Madonna dell'Albero
Candelabro Trivulzio
Nella navata destra del braccio nord del transetto si trova un altare del
tardo Cinquecento con la pala marmorea di Santa Tecla tra i leoni diCarlo Beretta (1754) e un paliotto del 1853 di Antonio Tantardini. Il secondo altare, del XVI
secolo, ha una pala marmorea col Crocifisso e santidi Marcantonio Prestinari (1605), mentre la vetrata soprastante mostra le Storie di San Giovanni
Damasceno di Nicolò da Varallo (1479).
Dal muro di fondo una porticina dà accesso alla scala dei Principi, che in
antico era riservata all'ingresso dei personaggi più illustri, mentre oggi
porta all'ascensore per le terrazze. La vetrata con Storie di San Carlo è
del 1910.
Nella navata mediana è chiusa da un'absidiola che contiene la cappella
della Madonna dell'Albero, disegnata da Francesco Maria Ricchino(1614) e realizzata con alcune modifiche da Fabio Mangone e Tolomeo Rinaldi. Qui la facciata interna dell'arco è decorata da rilievi della metà del
Cinquecento: da sinistra Natività, Presentazione al Tempio di
scuola del Bambaia, Presepe di Cristoforo
Solari, Cristo fra i dottori di Angelo Marini e Nozze di Cana di Marco
d'Agrate. I rilievi sulla volta sono invece di Gian Andrea
Biffi, Giovanni Pietro Lasagna e del Prestinari(1615-1630). L'altare è decorato da una Madonna col Bambino di Elia Vincenzo Buzzi (1768). Le tre vetrate con Storie della Vergine sono opera
di Giovanni Battista Bertini (1842-1847).
Davanti alla cappella si trovano le lapidi funerarie di vari arcivescovi,
tra i quali Federico Borromeo e il candelabro Trivulzio, una maestosa opera bronzea donata dall'arciprete G. A. Trivulzio nel 1562: si tratta di un capolavoro della scultura gotica, realizzato nella
maggior parte nel XII secolo e attribuito a Nicolas de Verdun o ad artisti renani operanti a cavallo fra Tre e Quattrocento. Il
piede poggia su animali chimerici e lungo il corpo corrono viticci e spirali
che inquadrano scene del Vecchio Testamento, Arti liberali, Fiumi e
un'Adorazione dei Magi.
Nella navata di sinistra si trova l'altare di Santa Caterina, l'unico
altare gotico della cattedrale in gran parte originale. È decorato dalle statue
diSan Girolamo e Sant'Agostino, attribuite a Cristoforo
Solari (inizio del XVI secolo), e le statuette della
fine del XIV secolo riferibili a Giovannino de' Grassi[1].
La vetrata presenta Storie di Santa Caterina da Siena di Corrado de' Mochis (1562) e Vita della Madonna di Giovanni da Monte Cremasco(1562-1567).
A sinistra si trova il monumento funebre dell'arcivescovo Filippo
Archinto di Baldassarre da Lazzate (1559 circa), sovrastato dalla vetrata degliApostoli di Carlo Urbini (1567).
Tiburio
Al centro della chiesa si apre il tiburio di Giovanni Antonio Amadeo, alto 68 metri e con
una base di forma ottagonale, sostenuta da quattro arcate a sesto acuto e pennacchi. La volta vera e
propria è retta dalle lunette a sesto acuto e da quattro archi a tutto sesto,
non visibili, nascosti dagli archi acuti.
Gli affreschi a tondo nei pennacchi con i Dottori della Chiesa sono
opera di scuola lombarda del 1560-1580 circa. Il profilo delle arcate ospita 60 statue di Profeti e Sibille sono
in stiletardogotico della seconda metà del Quattrocento e sono
influenzate dall'arte borgognona e renana, che sembrano anticipare il Rinascimento lombardo. Le vetrate nelle finestre sono
del1958 e raffigurano gli eventi del Concilio Vaticano II.
Presbiterio
Il presbiterio con i due pulpiti
Il complesso del presbiterio è circondato da dieci piloni absidali e venne modificato nel
Tardo Rinascimento e di nuovo con la riforma liturgico-funzionale
del 1986. Oggi va dalla cupola fino alla parte terminata della navata centrale.
Carlo Borromeo fece allineare i pulpitie altre sistemazione, operate da Pellegrino Tibaldi secondo i dettami del Concilio di Trento. Oggi il presbiterio è diviso in
due parti, con diverse funzionalità.
Il presbiterio festivo ha accesso da una gradinata semicircolare e occupa
una parte della navata centrale e il vecchio coro senatorio (dove si riunivano
le magistrature civili e quelle delle confraternite), con vari piani
ripavimentati di recente sulla decorazione delPellegrini. Nel punto più elevato si trova l'altare maggiore,
proveniente dalla basilica di Santa Maria Maggiore, consacrato da Martino Vnel 1418, che segnò l'inizio ufficiale dell'officiatura della nuova cattedrale. La
posizione sopraelevata attuale venne decisa da Carlo Borromeo. Al centro
dell'altare si trovano dei rilievi trovati nei lati interni delle lastre che lo
compongono, che facevano parte di un sarcofago romano-pagano del III secolo
d.C., già riutilizzato come sepoltura di un martire cristiano, come testimonia
una croce sul fondo e un cartiglio. La cattedra e l'ambone sono del 1985 e sono accompagnati da due pulpiti cinquecenteschi, progettati dalPellegrini. Il sinistro ha rilievi del Vecchio
Testamento e quattro cariatidi con i Dottori della Chiesa;
il destro è dedicato al Nuovo Testamento e sculture bronzee
degli Evangelisti, con rami sbalzati, dorate e argentati opera
di Giovanni Andrea Pellizzone e bronzi diFrancesco
Brambilla il Giovane (1585-1599).
Tra due piloni si trovano i grandi organi. Alle spalle si apre il coro dei
Canonici (1986) con il Tempietto (ciborio) del Pellegrini, con il tabernacolo cilindrico a torre, dono
del 1591 di Pio IV. Il ciborio segna anche il confine con la Cappella
Feriale, l'altra sezione del presbiterio. Si tratta di uno spazio separato e
raccolto realizzato nel 1986 nel vecchio presbiterio e nel coro, dove poter
raccogliere i fedeli durante le liturgie della settimana.
Il coro ligneo delimita questa zona ed è composto da un doppio ordine di
stalli intagliati da Giacomo, Giampaolo e Giovanni Taurini, Paolo de' Gazzi e Virgilio de' Conti su disegno delPellegrini, di Aurelio Luini e di Giulio Cesare Procaccini nel 1567-1614. I rilievi raccontano 71 episodi (Storie della vita di Sant'Ambrogio e
di altri martiri nell'ordine superiore, Storie di arcivescovi
milanesi in quello inferiore.
Il Sacro Chiodo
Sospeso sopra l'altare maggiore, attaccato alla chiave di
volta, si trova la reliquia più preziosa del Duomo, il
chiodo della Vera Croce (Sacro Chiodo), che secondo la tradizione era stato rinvenuto da sant'Elena e usato come morso del cavallo di Costantino I.
Il Sacro Chiodo è oggi conservato in una nicchia contenuta in una copia
della serraglia in rame dorato con il rilievo del Padreterno (oggi
nel Museo del Duomo). Anche se sospeso molto in alto, una luce rossa lo rende
visibile da tutta la cattedrale. Il chiodo è prelevato dall'arcivescovo e mostrato ai fedeli ogni 3 maggio, festa dell'"Invezione della Santa Croce" (cioè del ritrovamento
della Croce), ora viene portato in processione il 14 settembre, festa
dell'Esaltazione della Santa Croce. Per prelevare il chiodo dalla sua custodia
viene utilizzata la seicentesca nivola, un curioso ascensore oggi
meccanizzato. Dei quattro chiodi della Vera Croce, altri due si trovano,
secondo la tradizione, nella Corona ferrea a Monza e alla basilica di Santa Croce in
Gerusalemme a Roma. Il quarto chiodo che avrebbe tenuto la scritta "INRI", dalla tradizione più dubbia, si troverebbe nella cattedrale di Colle Val d'Elsa in provincia di Siena.
Le campane
§ La campana maggiore (La bem2 calante), intitolata alla Vergine Maria, venne
fusa da Giovanni Battista Busca nel 1582 e benedetta da S. Carlo Borromeo, ha
un diametro di 212 cm.
§ La campana mezzana (Si2), dedicata a S. Ambrogio, venne eseguita nel 1577
da Dionisio Busca ed ha un diametro di 176 cm.
§ La campana minore (Mi bem3 calante), dedicata a S. Barnaba, ritenuto l'Apostolo
evangelizzatore di Milano, è stata fusa da Gerolamo Busca nel 1515 ed ha un
diametro di 128 cm.
Queste tre campane sono situate nell'intercapedine del tiburio tra la volta
interna e le pareti esterne. Non sono visibili dall'esterno. Le campane, originariamente
a slancio, oggi per problemi statici sono fisse e suonano mediante il movimento
del battaglio.
§ Sulla terrazza del tiburio, dietro una guglia, è collocata una quarta
campana dedicata a S. Tecla fusa nel 1553 da Antonio Busca.
Gli organi
Si può dire che l'organo del duomo fu una dotazione importante fin dalla nascita della
costruzione. Il primo organo fu commissionato già nel1395 a Martino degli Stremidi ed era funzionante nel 1397. Seguirono continue modifiche, aggiunte e ripristini. Un punto d'arrivo è
l'opera di Gian Giacomo Antegnati che tra il 1533 e il 1577 costruì l'organo nord, con 12 registri e 50 tasti, che fu trasportato
nella posizione attuale nel1579. Nel 1583 venne commissionato a Cristoforo Valvassori l'organo sud (1584-1590), in sostituzione di quello più antico. Le ante di
quest'ultimo hanno grandi dipinti: a sinistra con Storie della Vergine
e dell'Antico Testamento di Giuseppe Meda (1565-1581); a destra laNatività e il Passaggio del Mar Rosso di Giovanni Antonio Figino e Storie del Vecchio e Nuovo Testamento di Camillo Procaccini (1592-1602). Gli intagli dorati delle casse sono di Giovan Battista Mangone, Sante Corbetta, Giacomo, Giampaolo e Giovanni Taurini.
I due grandi organi nord e sud furono continuamente rimaneggiati, passando
tra l'altro dalla trasmissione meccanica a quella pneumatica fino a quella
attuale, elettrica. Sono dotati di otto grandi ante (quattro verso il
presbiterio e quattro verso il tornacoro) che possono aprirsi o chiudersi per modulare
il volume, riverbero ed echi. Nell'elenco degli organisti titolari vi è anche
il figlio di Johann Sebastian Bach, Johann Christian Bach. Nel corso del XIX secolo anche
i Serassi parteciparono alla ristrutturazione dell'organo. Nel 1937 furono aggiunti altri quattro corpi, in modo che tutti quanti fossero
comandati dalla stessa consolle. Il risultato acustico fu tuttavia deludente,
al punto che tutto il complesso degli organi fu risistemato in occasione della
ristrutturazione del presbiterio negli anni 1985-1986. Oggi i quattro organi aggiunti sono posti accanto ai due più antichi, in nuove
casse lignee semplici e lineari. La consolle attuale è stata posta sotto la
cassa cinquecentesca di destra (sud). L'ultima ristrutturazione (quella
del 1986) fu eseguita dalla ditta Tamburini.
Disposizione
fonica dell'organo del Duomo di Milano
L'organo del Duomo di Milano ad oggi conta circa 16.000 canne, ed è uno dei
maggiori organi del mondo. Accanto a questo grande organo, ne è stato aggiunto
un secondo, di piccole dimensioni, posto sulla parte sinistra, accanto al luogo
dove prende posto il coro, proprio per essere vicino ai cantori quando serve un
accompagnamento meno imponente di quello costituito dall'organo principale[1].
Cripta
Lo Scurolo di San Carlo
Nel retro coro, davanti alle sacrestie, si aprono le porte che portano
alla cripta, un ambiente circolare disegnato dal Pellegrini con un peribolo attorno all'altare.
Da qui si passa a un vestibolo rifatto da Pietro Pestagalli nel 1820, dove si trova lo scurolo di San Carlo, una cappella a base ottagonale schiacciata, progettata da Francesco Maria Ricchino nel 1606. Tutta la fascia superiore e il soffitto sono decorati da lamine d'argento con scene della vita di San Carlo, fatte eseguire da Federico
Borromeo nel 1595-1633. Qui è sepolto San Carlo in abito pontificale, in un'urna di cristallo di rocca donata da Filippo IV di Spagna[1].
Deambulatorio
Il deambulatorio corre intorno al coro ed è delimitato dal retro coro marmoreo
del Pellegrini, composto da due ordini: quello inferiore decorato da
erme, con al centro l'apertura quadrata per accedere alla cripta, e due
aperture più strette ai lati a semicircolo; quello superiore con Angeli (disegno
dello stesso Pellegrini e realizzati da Francesco
Brambilla il Giovane) e tabelle a rilievo, con diciassette Storie di
Maria e dieci Simboli mariani, scolpite all'epoca di Federico
Borromeo.
La prima campata contiene il monumento di Paolo VI, opera di Francesco
Messina (1969). Qui si trova l'accesso alla sagrestia meridionale.
Nella seconda campata si trova l'altare della Vergine dell'Aiuto,
con un affresco quattrocentesco ridipinto. Su un mensolone si trova il busto di
papa Martino V, opera di Jacopino da Tradate del 1424, che sormonta la lapide sepolcrale di Niccolò e Francesco Piccinino, capitani di ventura di Filippo Maria Visconti. Segue il monumento del
cardinale Marino Caracciolo, governatore di Milano morto nel 1538, opera del Bambaia composta da un'edicola retta da colonne tuscaniche, che
conserva il sarcofago con statua giacente del defunto.
La terza campata ha una copia dell'antica lastra marmorea del Chrismon
Sancti Ambrosii e un bassorilievo con Pietà e due angeli di
un maestro renano del XIV secolo, oltre a uno stendardo della congregazione del
Rosario, del tardo Cinquecento, con ricami e pitture.
Nella quarta campata una lapide del 1611 commemora la consacrazione di Carlo
Borromeo del 20 ottobre 1577, affiancata dalle erme del Tempo e dell'Eternità, in
parte opera di Pietro Daverio, e da due lastre marmoree con l'elenco dei santi dei quali sono conservate
reliquie nel Duomo.
La quinta campata presenta un Crocifisso con dalmatica duecentesco custodito sotto vetro e proveniente dal Castello Sforzesco nel 1449.
La sesta campata ha un Crocifisso con vergine e santi,
affrescato da un maestro lombardo all'inizio del XV secolo. Su un mensolone
(opera di Francesco
Brambilla il Vecchio), si trova una statua di Pio IV benedicente di Angelo Marini (1567). Un altro affresco lombardo coevo è il San Giovanni Battista e
Madonna col Bambino. Nella settima campata si trova il portale della
sagrestia nord.
Le tre grandi finestre dell'abside sono ornate da statue negli sguanci e da
vetrate in gran parte rifatte nel 1833-1865 da Giovanni Battista e Giuseppe
Bertini. La prima ha Storie del Nuovo Testamento,
la seconda Visione dell'Apocalisse (dove restano nella parte
alta una cinquantina di pezzi del XV e XVI secolo) e la terza con Storie
del Vecchio Testamento.
§ Madonna con Bambino e San Giovanni, maestro lombardo all'inizio del XV
secolo
§
Crocefissione del XV secolo
§
Monumento a Pio IV
§
Monumento a Marino Caracciolo
§
Monumento a Carlo Borromeo
§
Monumento a Martino V
Sagrestia
meridionale
Il portale della sacrestia meridionale è di fine del Trecento ed ha un
architrave con profeti scolpiti (attribuiti a Giovannino de' Grassi), un arco ogivale e due
pinnacoli. Alla base si trovano i rilievi delle Vergini sagge e
delle Vergini folli, mentre la lunetta ha una Deposizione,
una Madonna del Latte e un'Assunta. Negli sguaci al di
sotto dei baldacchini si trovano le Scene della vita di Cristo, in
parte di Hans von Fernach (1393).
L'interno è rivestito da armadi seicenteschi. Sopra l'ingresso si trova
un Martirio di Santa Tecla di Aurelio Luini (1592). Il lavabo ha un dossale con cuspide, nella cui lunetta si trova un
medaglione polilobato con Gesù e la Samaritana, di Giovannino de' Grassi (1396. A sinistra si trova una nicchia con un Cristo alla Colonna di Cristoforo
Solari.
Sagrestia
settentrionale
La sagrestia
settentrionale presenta nel portale la più antica opera di scultura del Duomo,
opera diGiacomo da Campione e aiuti. Nell'architrave e nei pilastri si trovano i Profeti,
e nella lunetta unRedentore benedicente. Più in lato decora una grande
edicola con cuspidi sovrapposte, fiancheggiata da quattro pinnacoli. Nell'arco
acuto al centro dell'edicola superiore si trova il rilievo con la Vergine
benedicente, con resti della primitiva policromia.
All'interno della sagrestia, il pavimento è di Marco Solari da Carona del 1404-1407. Dietro gli armadi barocchi resta un frammento di
un'arcata gotica in laterizio, che testimonia la primissima fase costruttiva
del Duomo (1386-metà del 1387). Uno dei fastigi degli armadi è dipinta dal Morazzonecon San Carlo e due angeli (1618).
In una nicchia si trova la statua del Redentore di Antonio da Viggiù, mentre a fianco del portale spicca il monumento a Paolo VI del 1989.
Gli scavi
Da una stretta scala nella facciata interna si può accedere al sotterraneo
dove si trova il piano del calpestio del IV secolo, a circa quattro metri sotto
il livello attuale della piazza. Qui si trovano i resti del battistero di San Giovanni alle Fonti, edificato dal 378 e compiuto entro il 397, dentro il
quale sant'Ambrogio battezzò il futuro sant'Agostino, la notte di pasqua del 387. Aveva un
impianto ottagonale, per un diametro di 19,3 metri, con nicchie che si aprivano
nelle pareti alternativamente semicircolari e rettangolari. Al centro si trova
ancora il fonte ottagonale, il più antico che sia documentato, che però è in
gran parte spogliato della decorazione marmorea originale.
Altri resti sono pertinenti alle absidi della basilica di Santa Tecla, cattedrale estiva
anteriore alla metà del IV secolo, demolita nel 1461-1462.
Salita ai terrazzi
I terrazzi
Attraverso l'ascensore contenuto nel contrafforte est del braccio nord del
transetto si può accedere alle terrazze del Duomo, dalle quali si gode una
straordinaria vista sul fitto ricamo di guglie, archi rampanti (dove sono
nascosti gli scarichi della acque piovane), pinnacoli e statue, nonché sulla
città.
Vicino all'ascensore si trova la guglia Carelli, la più antica del Duomo,
che risale al 1397-1404 e fu costruita grazie al lascito di Marco Carelli. È decorata da statuette della prima metà del XV secolo che ricordano i
modi borgognoni. La parte terminale è stata rifatta mentre la statua sulla
sommità, raffigurante Gian Galeazzo Visconti è una copia
dell'originale di Giorgio Solari, oggi conservata nelMuseo del Duomo. Tra tutte le altre guglie solo sei risalgono al XV e XVI secolo e una
decina sono del XVII e XVIII secolo.
Il tiburio di Giovanni Antonio Amadeo (1490-24 settembre 1500) è sormontato all'esterno da otto archi rovesci che sostengono la guglia
maggiore, ultimata nel 1769 con una struttura marmorea, che è collegata a
un'armatura di ferro del 1844. Attorno al tiburio si trovano quattro gugliotti, di
progetto dell'Amadeo, che vide realizzato solo quello di nord-est (1507-1518), arricchito da statuaria coeva oggi in gran parte sostituita da copie;
alla base del gugliotto si conserva il bassorilievo commemorativo con l'effigie
dell'Amadeo. Quello di nord-ovest venne ultimato da Paolo Cesa Bianchi nel 1882-1887, quello di sud-ovest da Pietro Pestagalli nel 1844-1847 e quello di sud-est, che fa anche da torre
campanaria, da Giuseppe Vandoni nel 1887-1892.
Tra le statue sono singolari quelle nella parte sud della falconatura della
facciata, risalenti al rifacimento del 1911-1935: raffigurano gli Sport e sono un inconsueto esempio di
statuaria degli anni Trenta.
La Madonnina
La Madonnina La
guglia maggiore
Inaugurata il 30 dicembre 1774, la Madonnina del Duomo di Milano è il punto più alto della chiesa. La statua venne disegnata dallo
scultore Giuseppe Perego e fusa dall'orafo Giuseppe Bini, per un'altezza di 4,16 metri. L'interno della statua conserva uno
scheletro metallico, che degradatosi negli anni Sessanta del Novecento, è stato
ricoverato nel museo e sostituito da un'ossatura in acciaio.
Il Tesoro
Nel Tesoro del Duomo, accessibile da una scala di fronte alla sagrestia
meridionale, si trovano gli oggetti più preziosi accumulatisi nella lunga
storia della cattedrale milanese. Vi si trovano:
§
La cappella argentea del IV secolo, inviata da papa San
Damaso a sant'Ambrogio nel IV secolo, contenente le reliquie dei santi martiri e proveniente
dalla basilica di San Nazaro Maggiore;
§
La copertina d'avorio di un evangeliario, con storie
di Cristo, di probabile fattura ravennate (V secolo)
§
Il dittico "romano" d'avorio con scene della
vita di Cristo (IX secolo)
§
La situla d'avorio usata per
l'incoronazione di Ottone II nel 979, decorata con
archetti e rilievi della Vergine ed Evangelisti.
§
La coperta di evangeliario di Ariberto da Intimiano, in oro a sbalzo e filigrana,
con gemme e smalti, di probabile fattura lombarda (XI secolo)
§
Il dittico "greco" d'avorio con scene
evangeliche di manifattura bizantina (XI-XII secolo)
§
La colomba eucaristica con smalti, del XII-XIII
secolo.
§
Il calice eburneo con rilievi delle Arti
Liberali, di manifattura francese del XIV secolo.
§
La mitria d'oro detta di San Carlo
Le pareti sono
decorate da arazzi, tra cui quello con l'Adorazione dei Magi, disegnato
da Gaudenzio Ferrari.
Curiosità
§
In quaresima viene rimossa la croce che si trova generalmente sospesa al di sopra
dell'altar maggiore e ne viene posizionata una più grande, poggiante
a terra, in maniera di mettere in risalto il sacrificio di Cristo sulla Croce.
§
Quando lo schienale della cattedra, situata al di sotto del pulpito di destra, è coperto con un drappo (solitamente dello stesso colore
del tempo liturgico corrispondente), vuol dire che in quel giorno l'arcivescovo celebrerà una Messa in Cattedrale.
§
Nel gradino più basso del presbiterio festivo, ovvero quello in cui si trova l'altar
maggiore, sono intarsiati due stemmi, realizzati in marmi
policromi, di Giovanni
Paolo II e del Cardinale Carlo Maria Martini.
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Palazzo dell'Arengario
Descrizione
Il palazzo dell'Arengario, edificato sul luogo dove si trovava
la cosiddetta "manica lunga", appendice del Palazzo Reale demolita
nel 1936 per attuare la sistemazione dell'area del Duomo, è costituito da due
corpi di fabbrica che si affacciano alla piazza, determinando uno scenografico
fondale, contrapposto all'arco della Galleria, attraverso il quale è aperto il
passaggio sulla via Marconi e l'ingresso alla piazza Diaz.
L'edificio a sinistra, che costituiva il vero e proprio Arengario, ha un maggiore sviluppo in pianta, allungato su due soli piani dei tre complessivi, con un collegamento diretto alla piazzetta Reale.
L'impatto fortemente plastico dei due corpi di fabbrica costituisce una monumentale porta urbana che, secondo il proposito dei progettisti, avrebbe segnato il passaggio dall'antica alla nuova città, che, con la riforma della adiacente piazza Diaz, si stava riorganizzando come centro direzionale.
In continuità con i palazzi che delimitano le piazze, l'Arengario è aperto al piede da un portico pilastrato, percorso da una trabeazione su cui si sviluppa una balconata continua.
L'architettura dei due padiglioni è caratterizzata dalle facciate rivestite di marmo di Candoglia, aperte al primo e secondo livello da una doppia serie di alte arcate a tutto sesto, appoggiate alla base dei fabbricati nella quale si aprono portali rettangolari, con cornici a motivo vegetale intrecciato, opera dello scultore Arturo Martini. Di matrice fascista, l'architettura del palazzo concede poco spazio alle decorazioni, limitate alle epiche figurazioni ad altorilievo collocate nel portico della parte basamentale.
I due edifici realizzati, persa l'originaria funzione, sono divenuti sede di uffici comunali e del Consiglio di Zona del Centro Storico, collocati nel padiglione a destra, mentre in quello di sinistra ha sede l'Ente Provinciale per il Turismo. Questo secondo padiglione, collegato al palazzo Reale, ha visto nei propri spazi l'allestimento di esposizioni temporanee.
Con il piano di riordino di tutti i musei civici, l'Amministrazione Comunale ha avviato il progetto di restauro e modifica d'uso; il palazzo al termine dei lavori, affidati all'architetto Italo Rota, diverrà sede prestigiosa del nuovo Museo del Novecento, ed ospiterà nei suoi spazi parte una sezione dell'ampio patrimonio artistico moderno e contemporaneo della città.
Notizie storiche
La vicenda costruttiva dell'Arengario, con le opere di
sistemazione della piazza del Duomo avviate all'indomani dell'unità d'Italia
secondo il progetto generale dell'architetto Mengoni, vede la sua conclusione
soltanto alla metà degli anni Cinquanta, quasi vent'anni dopo le prime
elaborazioni progettuali e quando obiettivi e funzioni sono ormai
irrimediabilmente mutate.
Per la sistemazione della piazza nel 1937 il podestà di Milano bandisce un concorso di massima; dei 29 progetti presentati, solo quattro passano al secondo grado: sono i progetti elaborati da Marcello Canino, dal gruppo Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, da Filippo Maria Beltrami e da Mario Bacciocchi.
Il sodalizio dei quattro architetti, tutti affermati sulla scena milanese del tempo, è evidentemente mirato a sorprendere i concorrenti con una soluzione unitaria e, soprattutto, monumentale, anche se non è noto l'effettivo contributo di ciascuno.
Al secondo grado di giudizio il gruppo dei quattro architetti presenta un progetto, corredato di cinque varianti, nel quale è mantenuta l'impostazione dei due edifici simmetrici e contrapposti all'Arco della Galleria del Mengoni. La giuria d'esame nel mese di luglio 1938 dichiara vincitore del concorso il gruppo costituito da Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi, il cui progetto, composto da un gran numero di disegni nettamente superiore a quanto richiesto, è sottoposto all'attenzione dell'Amministrazione Comunale per un ulteriore approfondimento.
L'8 settembre 1938 il podestà convoca i progettisti risultati vincitori al concorso per conferire loro in via ufficiale l'incarico della stesura definitiva, apportando ai disegni le modifiche suggerite dalla commissione d'esame.
Il giorno 1 febbraio 1939 prendono via ufficialmente i lavori per la costruzione dell'Arengario. Non ancora terminata la costruzione, il fabbricato - e l'adiacente Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale - è danneggiato dai bombardamenti che colpiscono la città, allontanando l'inaugurazione ufficiale. Dopo la seconda guerra, l'immagine dell'edificio risulta particolarmente ingombrante per la sua esplicita espressione del regime fascista.
Al 1947 risale la demolizione dell'arengo vero e proprio, mentre negli anni successivi sono attuati i lavori di adeguamento degli ambienti interni, su progetto di Melchiorre Bega, destinati dalla metà degli anni Cinquanta ad ospitare l'Ente Provinciale del Turismo.
Museo del Novecento
Il Museo del Novecento di Milano è una
galleria predisposta all'esposizione di opere d'arte del XX secolo,
ospitata all'interno del Palazzo dell'Arengario.
Progetto
per la sede
La sede
del museo si trova nel palazzo dell'Arengario a seguito della decisione
dell'amministrazione comunale, ed
è stata inaugurata il 6 dicembre 2010.
I lavori
solo di ristrutturazione sono stati effettuati a cura di Italo Rota e Fabio Fornasari, per un
costo complessivo di circa 28 milioni di euro.[2][3] La facciata dell'Arengario ha subito soltanto
un restauro conservativo, mentre i lavori di modernizzazione si sono svolti
all'interno, completamente modificato rispetto alla condizione originale. Gli obiettivi dichiarati erano quelli
di fornire un percorso museale in grado di sfruttare appieno gli spazi offerti
dall'ex edificio; per fare ciò all'interno è stata inserita una rampa a spirale
per la risalita, la quale accompagna i visitatori fino alla terrazza panoramica
direttamente dalla fermata della metropolitana. La piazza
del Duomo è
ovviamente visibile dalla terrazza, ma anche dallo scalone grazie a un'ampia
vetrata e da un balcone coperto. Il museo inoltre è collegato a Palazzo Reale tramite una passerella esterna sospesa. Gli scavi eseguiti preliminarmente per
la sistemazione del cortile interno hanno portato alla luce reperti
archeologici, i quali verranno probabilmente esposti nel museo stesso dopo gli
opportuni restauri.
Dati
tecnici
§ Area totale: (8.500 m² ca.)
§ Arengario: (7.000 m² ca.)
§ Palazzo Reale: (1.500 m² ca.)
§ Area espositiva: (5.000 m² ca.)
§ Arengario: (3.500 m² su tre livelli)
§ Palazzo Reale: (2º piano 1.500 m²)
§ Area dedicata ai servizi:
§ Arengario: bar, ristorante,
biglietteria, spazio didattico, servizi igienici (1.800 m² ca.)
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§ Depositi: (550 m² ca.)
§ Arengario: (430 m² piano terra)
§ Palazzo Reale: (120 m² ca.)
§ Uffici:
§ Palazzo Reale (400 m²)
§ Archivi del Novecento:
§ Palazzo Reale (300 m² ca.)
§ Locali Tecnici:
§ Arengario (1.000 m² ca.)
|
L'inaugurazione
Le opere
Per gli
organizzatori, il museo nasce con lo scopo di:
« Diffondere la
conoscenza dell’arte del Novecento per generare pluralità di visioni e
capacità critica »
|
|
Sono
esposte circa quattrocento opere, selezionate tra le quattromila a disposizione
delle Civiche Raccolte d'Arte milanesi, molte provenienti dalla collezione Jucker.[9] questi dipinti sono stati esposti dal 1984 al 1999 nella
sede di Palazzo Reale, in via
del tutto provvisoria. Sotto questo punto di vista il Museo del Novecento colma
una lacuna storica, essendo mancato da sempre un centro fisso per l'esposizione
di questi lavori, in una città come Milano che è stata culla di basilari
movimenti artistici del novecento. Sono esposti dipinti di differenti
periodi artistici, dal Futurismo alla Metafisica e la Transavanguardia, i
gruppi di Milano, Roma e Torino e l’arte Povera. Si possono ammirare opere di Pellizza da Volpedo,Boccioni, Modigliani, De Chirico, Sironi, Fontana e molti altri. Tra le particolarità bisogna
citare un'opera di Fontana creata nel 1956; si tratta di un intero soffitto realizzato
per l’Hotel del Golfo a Procchio, all’Isola d'Elba.
L'enorme lavoro è stato in deposito al Comune di Milano, che ne ha approfittato
per esporlo all'ultimo piano del Museo (ultimo piano interamente dedicato a
Fontana.
Le
caratteristiche del percorso museale sono ad oggi ancora sotto studio, ma si conosce una linea espositiva di
base:
- il terzo piano ospiterà l'arte concettuale e a Palazzo Reale si conclude il tour con l'arte povera.
Opere maggiori
Soffitto spaziale, 1956
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I Bagni Misteriosi di Giorgio de Chirico nel Parco
Sempione Di Milano
I Bagni
Misteriosi, o Fontana metafisica,
viene progettata da Giorgio de Chirico, su un’idea dell’ingegnere Giulio
Macchi, nel 1973 in occasione della mostra “Contatto Arte/Città”, presentata
durante la XV edizione della Triennale di Milano. L’opera è stata in seguito
donata al Comune di Milano dal Conte Paolo Marzotto, Presidente A.R.P.A.I.
(Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano).
Ideato per essere collocato nel
Parco Sempione, il complesso scultoreoBagni
Misteriosi prende il
nome da un già famoso ciclo di dipinti degli anni Trenta dello stesso de
Chirico, elaborazione di un ricordo d’infanzia, una spiaggia di nome “Anavros”
nella sua città natale in Grecia, Volos.
Il
complesso scultoreo è costituito da una grande piscina dove sono collocate le
statue di due nuotatori, un cigno, una palla, una cabina, un trampolino e,
infine, un pesce che de Chirico collocò sul tappeto verde del giardino. Tali
sculture, inizialmente pensate per una breve esposizione nel parco, furono
realizzate dalla società Margraf, in pietra di Vicenza (30 metri cubi),
materiale estremamente fragile e deteriorabile: da qui la necessità di
preservarne la conservazione.
Nel
1997, le sculture furono rimosse dal parco e messe in sicurezza in attesa
dell’intervento di restauro, iniziato nel 2008 e diretto da Gianfranco
Mingardi. L’intervento mirava non solo a rinsaldare, consolidare e proteggere
le sculture, ma anche a ricostruirne il delicato tessuto cromatico, che ora ha
ritrovato i brillanti colori originali, prima andati in parte distrutti e
coperti da scritte vandaliche.
I due
nuotatori, visibili dalla vita in su, il cigno e il pesce sono i soli pezzi
realizzati in stretta collaborazione con de Chirico. Il pesce, portato via già
nel 1974, viene acquistato dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico durante
un’asta, a Parigi, e riconsegnato al Comune di Milano, è l’unico pezzo che
conserva intatti i colori originali e la firma di de Chirico. Queste tre
sculture, non ancora restaurate, sono state sostituite nella vasca del Parco
Sempione da altrettante copie eseguite dalla società Margraf e da T&D
Robotics. Gli originali sono oggi esposti al Museo del Novecento quale
testimonianza del legame profondo e duraturo dell’artista con la città di
Milano.
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il
Quarto Stato, 1901
Aprire il Museo del Novecento
con Il Quarto Stato di
Giuseppe Pellizza da Volpedo significa documentare una frattura, più che non
suggerire un’apertura verso ciò che si vedrà nelle sale successive. Questo
quadro, terminato nel 1901, voleva celebrare gli ideali del socialismo
umanitario attraverso il tema della marcia dei lavoratori e con la tecnica
pittorica del divisionismo scientifico; ma segnò anche l’ultimo importante
episodio, per la civiltà figurativa italiana, di opera d’arte a programma,
caratterizzata della ricerca di una superiore e concomitante chiarezza di forma
e di contenuto. E non solo. Con Il Quarto Stato tramonta anche una stagione nella
quale il mestiere di pittore era governato dal rispettoso, quasi naturale
confronto con il museo (qui, in particolare, il riferimento alla raffaellesca
Scuola di Atene, il cui cartone Pellizza studiò alla Pinacoteca Ambrosiana),
nella convinzione che gli stili storici segnassero una continuità non solo
formale ma anche ideale tra passato e presente.
A dispetto della sua ambizione,
il quadro ebbe subito una scarsa fortuna: non si aggiudicò, alla sua prima
esposizione a Torino nel 1902, né l’acquisto reale (per ovvi motivi di
pericolosità del soggetto) né il Premio degli Artisti; e la delusione per
questi insuccessi contribuì alla profonda crisi dell’artista che sarebbe
culminata nel suo suicidio di pochi anni dopo. Entrato nelle Civiche Gallerie
per pubblica sottoscrizione nel 1920 quando Milano era guidata da una giunta
socialista e il clima politico sembrava aprire concrete prospettive di
rivoluzione, Il Quarto Stato fu, specialmente nel secondo
dopoguerra, considerato alla stregua di un’opera-manifesto degli ideali della
sinistra, riformista o rivoluzionaria che fosse. Gli venne così negato a lungo
lo status di episodio cruciale della storia dell’arte italiana, finché non
furono ristabiliti, con il restauro e la stabile esposizione dal 1980 in
Galleria d’Arte Moderna, i suoi altissimi valori pittorici.
Ad
aprire il percorso del Museo, poi tutto dedicato all’arte moderna italiana, un
prezioso nucleo di opere dell’avanguardia internazionale – derivante quasi
integralmente dalla collezione di Riccardo e Magda Jucker – riflette le nuove
tendenze di inizio secolo, tra espressionismo, cubismo e astrattismo.
Si inizia dal 1907, spartiacque
della modernità artistica novecentesca, a cui risale una Femme
nue di Picasso,
variante o ripensamento di una delle famosissime cinque figure del suo
capolavoro d’allora, leDemoiselles
d’Avignon. Il passaggio dalla pittura fauve ed espressionista a un primo cubismo
si coglie in due paesaggi dello stesso periodo – ilPort Miou di
Braque e La Rue-des-Bois dello stesso Picasso – i cui caratteri
segnano in modo del tutto innovativo almeno un quindicennio di pittura
d’avanguardia in Europa e Stati Uniti; mentre la tradizione postimpressionista
è ancora presente nel materico pointillisme del Faro a Westkapelle di Mondrian, dove però già emerge la
componente mentale e astratta, radicalmente antinaturalistica, della pittura
del maestro olandese.
Pur variamente interpretata, la
tendenza “astratta” è tipica degli anni precedenti la prima guerra mondiale: la
si coglie anche in altre opere di Picasso e Braque (La bouteille de Bass e Natura
morta con chitarra) che, con un Contrasto di forme di Léger, ben esemplificano il cubismo
sintetico.
Astratto in senso proprio è
l’espressionismo di una raffinataComposizione di Kandinsky del 1916, mentre Klee,
nello stesso solco del monacense Cavaliere azzurro, offre una raffinata
dimostrazione dell’idea di pittura come pura invenzione compositiva con il suo Wald
Bau.
Ma anche negli anni
dell’avanguardia il tema della figura continua a giocare un ruolo primario. Al
senso costruttivo della linea variamente risolto in tre opere di Modigliani –
tra i quali un famoso Ritratto di Paul Guillaume – fa da controcanto il colore in
gioiosa libertà di un’Odalisca di Matisse, ultimo gioiello, ma solo
cronologicamente, di questa sezione.
Umberto
Boccioni
La rivoluzione
formale raccontata in questa sala testimonia bene l’accelerazione subita
dall’arte moderna italiana in un ristretto volgere di anni, dal 1905 al 1916.
L’autore delle opere qui raccolte, Umberto Boccioni, fu il principale artista
del futurismo: ma si è voluta distinguere la sua vicenda da quella degli altri
artisti che hanno aderito al movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti
per due motivi.
Il primo motivo è
l’eccezionalità, numerica e qualitativa, della selezione di opere di Boccioni
conservata nel Museo del Novecento, a documento del rapporto privilegiato tra
l’artista e la città. Nel capoluogo lombardo Boccioni visse dal 1908 fino alla
prematura fine del 1916: vi ebbe lo studio, ottenne i suoi primi
riconoscimenti, misurò il ritardo culturale con le altre capitali europee. Fu
il collezionismo privato anche milanese a fare di Boccioni l’artista per
eccellenza del futurismo: questo collezionismo è qui testimoniato dal lascito
(1934) delle opere di proprietà di Ausonio Canavese e da quadri cruciali come Elasticità e Il Bevitore che fecero parte della collezione
Jucker. E’ anche per merito delle scelte di questi coraggiosi collezionisti che
il futurismo venne poi letto come una delle maggiori avanguardie.
La seconda ragion d’essere di
questa sala sta nella singolarità della parabola creativa di Boccioni,
fortemente impegnato ad allineare l’arte italiana alle più avanzate posizioni
internazionali. Lo vediamo qui abbandonare la tradizione divisionista per
tentare l’acerbo espressionismo della prima versione degli Stati
d’animo; misurarsi con la lingua dei cubisti francesi per poi
smarcarsene con la monumentalità cromatica di Elasticità e con
la sintesi plastica delle “forme uniche”; tentare infine, verso il 1914,
un ritorno alla solidità dei volumi, e persino alla brutalità antigraziosa, del
primo Picasso cubista.
(Prof.
Flavio Fergonzi)
La polemica contro il
tradizionalismo culturale e il passatismo borghese in nome della modernità,
lanciata da Filippo Tommaso Marinetti nelManifesto
del Futurismo pubblicato
su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909, viene accolta e sviluppata in arte da
Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini e Giacomo Balla,
firmatari del Manifesto dei pittori futuristi e del Manifesto
tecnico della pittura futurista nel
febbraio e nell’aprile 1910.
Velocità, dinamismo e
molteplicità dei punti di visione trasformano ogni realtà attraverso una
dimensione percettiva dinamica universale, fino quasi a scomparire, come in Uomo
che scende dal tram (1914)
di Funi.
Al principio boccioniano di
dinamismo plastico e di visione sintetica della simultaneità, si accordano La
chahuteuse di
Severini (1912) e ilCavaliere
rosso di Carrà.
Diversa, invece, è la scelta di Balla, basata sul principio della persistenza
delle immagini nella retina e sulla possibilità di riproduzione
ottico-schematica del movimento. La Bambina x balcone(1912)
è il punto più alto della ricerca dedicata al movimento organico, che nel 1913
si incrocia con l’indagine sul movimento meccanico e sugli effetti di smaterializzazione
dei corpi data dalla velocità, ben rappresentata da Automobile+velocità+luce (1913).
La meditazione sul linguaggio
cubista condotta dai futuristi a partire dal 1912 appare evidente nelle nature
morte di Soffici in cui la ricomposizione bidimensionale degli oggetti si
staglia su fondi di piani sovrapposti dominati dall’uso del collage e nel Bohémien
jouant de l’accordéon (1919)
di Severini. Differente è invece la soluzione adottata da Depero e da Sironi a
favore di una riconquista della riconoscibilità delle forme e del soggetto.
Nel 1915 il futurismo entra in
crisi profonda e se Boccioni avvia il ripensamento del proprio linguaggio sulla
lezione di Cézanne e Picasso, Carrà intraprende la ricerca dei “valori puri”
per recuperare la relazione con le cose attraverso le forme concrete, come in Natura
morta con squadra (1917),
opera che guarda a de Chirico e alle meditazioni metafisiche.
Giorgio
Morandi
Il
bolognese Giorgio Morandi rappresenta un caso unico nella pittura italiana del
Novecento. Era un artista appartato, estraneo alle poetiche di sovversione del
passato a lui contemporanee, e per di più caparbiamente fedele ai due generi
minori del paesaggio e della natura morta: eppure gli venne riconosciuta, a
partire dagli anni quaranta, una posizione di primo piano in una storia
figurativa di respiro europeo, di particolare significato perché condotta negli
anni dell’autarchia culturale del fascismo. Questo perché Morandi, all’interno
delle costrizioni di genere e di formato che si autoimpose, seppe individuare
con grande lucidità i suoi modelli. Agli esordi si ispirò alla lezione di
Cézanne, e ne intuì i possibili sviluppi nel cubismo attraverso l’uso della
pennellata spazialmente costruttiva, capace di cristallizzare la visione in una
stasi sospesa. Riconobbe nell’esempio della pittura metafisica di de Chirico e
Carrà una rivoluzione delle convenzioni rappresentative e una possibilità di
ritorno alla pittura antica in termini non nostalgici ma modernamente
concettuali. Durante gli anni venti e trenta trovò poi
nell’investigazione visiva di un mondo sempre uguale (gli oggetti allineati nel
suo studio di via Fondazza; il paesaggio collinare di Grizzana), il modo di
rappresentare la drammatica condizione di solitudine e di angoscia dell’uomo
contemporaneo: e la rese in quadri spesso semplici e spogli,
violentemente materici, dalla sapiente costruzione tonale.
Fu il
collezionismo privato milanese a decretare l’imporsi di Morandi nel canone
dell’arte italiana moderna: questa saletta morandiana è in gran parte il frutto
dell’intelligenza di collezionisti come i coniugi Jucker e Boschi – Di Stefano.
Ma va qui ricordato un notevole caso di lungimiranza collezionistica pubblica
perché le Civiche Raccolte d’Arte di Milano furono il primo museo ad assicurasi
un quadro di Morandi (è la natura morta quasi monocroma del 1929 con il mezzo
manichino di terracotta) alla Biennale di Venezia del 1930.
(Prof.
Flavio Fergonzi)
Giorgio
de Chirico
Negli
anni dieci de Chirico divenne, con le tele dipinte prima a Parigi e poi a
Ferrara, uno dei protagonisti dell’avanguardia internazionale: la scoperta del
significato magico degli oggetti attraverso misteriose relazioni reciproche
anticipò i procedimenti del surrealismo. Le collezioni civiche di Milano non
possiedono un quadro di Giorgio de Chirico della prima, e più alta stagione
metafisica (1910-1919). I quadri metafisici, monopolizzati dopo la prima guerra
mondiale dal mercato parigino e poi da quello americano, furono prede ambite
del collezionismo internazionale: non li si volle comprare, per diffidenza
ideologica, durante il ventennio fascista e non li si poté più comprare,
per il prezzo troppo elevato, nel secondo dopoguerra.
Ma in questa sala si può
studiare una eccellente antologia dell’opera di de Chirico degli anni venti e
trenta, recentemente rivalutata. De Chirico è infatti un artista, oggi, di
imprevista modernità. Egli mise in crisi il principio, di origine romantica,
secondo il quale lo stile è la cifra più esclusiva dell’artista e vide nella
pittura una operazione indiretta, da compiere assemblando stili e temi già
esistenti, dove conta non tanto l’esito formale quanto il pensiero che lo
sovrintende. Qui l’artista rideclina, ne Il Figliol prodigo del 1922, una sua invenzione di cinque
anni precedente (il saluto tra il padre-statua e il figlio manichino in una
piazza d’Italia) in una pittura classica e luminosa, debitrice nel paesaggio
dei modi del Quattrocento Italiano. Oppure si mantiene, inCombattimento, sul
sottile confine tra l’omaggio alla classicità e la sua irrisione, con
riferimenti formali che vanno dai mosaici delle Terme di Caracalla al Picasso
neoclassico. Poi ancora, ne Le trouble du philosophe e ne Les brioches, ripropone i temi della metafisica ma
ormai depotenziati in un gioco decorativo e nostalgico. E infine, con Autunnodel
1935, si misura con un sapiente ritorno al mestiere che guarda ai nobili
precedenti di Raffaello e di Corot.
(Prof.
Flavio Fergonzi)
Arturo
Martini
Questa
sala riunisce almeno tre tipologie distinte del lavoro di Arturo Martini, oggi
unanimemente considerato il maggiore scultore del Novecento italiano.
La prima tipologia è quella
della statua da esposizione, un genere che lo scultore letteralmente reinventò
a partire dai primi anni venti, azzerandone il noioso sapore accademico con
l’innesto di contenuti narrativi (come nella Convalescente), o
attraverso inedite deformazioni e sperimentazioni di tecniche e di materiali:
come nella Sete, che è una
esplicita rimeditazione delle pose antiscultoree e della superficie scabrosa dei
calchi in gesso degli antichi abitanti di Pompei sorpresi dall’eruzione.
La seconda tipologia,
magistralmente rappresentata dal Torso di giovanetto in bronzo, è quella di opere che
mettono in crisi gli statuti fondativi stessi della scultura moderna. In un
frangente, il passaggio tra anni venti e trenta, in cui più acuta era
l’insofferenza verso il frammento scultoreo espressivo di per sé, Martini
ripropose il tema del torso ma ne capovolse l’originale ragion d’essere (il
frammento come sintesi del carattere di una figura), concentrandosi invece su
fatti puramente plastici (qui l’attenzione per la superficie scultorea come
autonomo, fragile involucro).
La terza tipologia è quella
delle statuette e dei piccoli gruppi in terracotta. In
opposizione al principio classicista che voleva la scultura ancella
dell’architettura, disciplinata dalla forma chiusa, Martini scatenò la sua
inventiva in liberissime creazioni di sapore letterario: dove il tempo del
racconto, spesso un “qui e ora” sentimentale o ironico, era ribadito dalla
qualità della modellazione, rapida e anticonvenzionale.
(Prof.
Flavio Fergonzi)
Novecento
Milano,
autunno 1922: sotto l’ala della giornalista e critica d’arte Margherita
Sarfatti, i pittori Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi
danno vita al gruppo di Novecento, che si afferma alla Biennale di Venezia del
1924. Il gruppo va quindi gradatamente ampliandosi e consolidandosi, anche
grazie alle mostre del 1926 e 1929 alla Permanente di Milano e a una serie di
esposizioni internazionali, raccogliendo gran parte dei pittori e scultori
italiani operanti nel variegato contesto del “ritorno all’ordine” del primo
dopoguerra.
La
riscoperta del mestiere, il ritorno alla solidità compositiva e a figurazioni
d’impianto più tradizionale rispetto alle sperimentazioni delle avanguardie ne
sono i tratti distintivi. Con formula giornalisticamente efficace, commentando
la mostra del 1926 sulle colonne del “Popolo d’Italia” la Sarfatti individua lo
spirito del Novecento italiano nella “… aspirazione verso il concreto, il
semplice, il definitivo”.
Ne sono
termini cronologici l’inizio degli anni venti e la prima metà del decennio
seguente, quando il clima novecentista si complica delle ragioni dell’arte
pubblica monumentale e della connessa poetica epico-popolare.
Il confronto tra i lavori di
Sironi, Martini e Casorati fa dialogare l’appello alla classicità in chiave di
mito moderno con intimismi dai connotati sottilmente metafisici; vere e proprie summae del novecentismo sono i lavori di
Carrà intorno al 1930, mentre la poetica “del semplice” eternizzato trova
esemplare manifestazione nella Visita di Guidi.
Il bel cadavere e Donne
al caffè, di Funi e Marussig, fanno emergere una componente
narrativa ricca di magica descrittività, mentre con il suoFigliol prodigo Baccio
Maria Bacci allarga il racconto alla dimensione metastorica della parabola.
Nella ritrattistica, si può
cogliere il doppio registro del novecentismo raffrontando l’immediatezza
della Bambina che gioca di
Bergonzoni con l’algida astrazione della Margherita di Donghi.
(Prof.
Antonello Negri)
Fausto Melotti
Le
dieci sculture radunate in questa sala rappresentano una preziosa testimonianza
della prima produzione di Fausto Melotti, maturata a Milano intorno alla metà
degli anni trenta.
Melotti,
a stretto contatto con artisti, intellettuali e musicisti aperti alle
sperimentazioni avanguardiste, mise a punto un linguaggio astratto in cui
convivevano l’amore per la geometria, la suggestione delle teorie
contrappuntistiche e l’eco delle ricerche degli architetti razionalisti. I suoi
lavori, memori anche della lezione futurista e metafisica, erano concepiti non
sul principio della “modellazione”, inutile tocco personale dell’artista, ma su
quello della “modulazione”: ovvero un canone di riferimento che costituiva
l’elemento base per la costruzione di una regolata composizione.
Melotti
espose molte delle sue opere nella sua prima mostra personale allestita, nel
maggio 1935, presso la Galleria del Milione di Milano, allora importante centro
di promozione della cultura artistica ed architettonica dell’avanguardia
europea.
Il
disinteresse del pubblico e l’incomprensione della critica italiana per le sue
opere spinsero l’artista a seguire altre strade negli anni successivi. Il
silenzio critico che calò sui suoi primi lavori fu interrotto all’inizio degli
anni sessanta, quando Melotti fu incluso tra i maggiori rappresentanti della
cultura astratta italiana tra le due guerre e alcune sue opere furono inserite
in importanti mostre retrospettive.
Nel 1968,
Luciano Pistoi, proprietario della Galleria Notizie di Torino, sollecitò la
realizzazione di alcune copie delle opere degli anni trenta sopravvissute ai
bombardamenti su Milano durante il 1943: Melotti eseguì due copie e una prova
d’artista per ogni scultura superstite. Le dieci prove d’artista, ora esposte
in questa sala, furono donate alle civiche raccolte di Milano all’indomani
della mostra antologica di Palazzo Reale, nel maggio-giugno 1979.
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